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Massimo Volume: Aspettando i Barbari

Li abbiamo aspettati anche noi, i barbari, e ci hanno travolto con sonorità glaciali e liriche sferzanti. Eppure, il sottile brivido della loro venuta ci ha toccato ancora una volta il cuore. Con un album firmato Massimo Volume, Aspettando i Barbari

Massimo Volume

Aspettando i Barbari

(CD, La Tempesta Dischi)

indie rock

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Quando nel 2008 Manuel Agnelli, direttore artistico del Traffic Festival, annunciò la reunion dei Massimo Volume proprio in occasione della kermesse estiva torinese, nessuno si aspettava quello che sarebbe venuto dopo. Tra le band più innovative e di rottura degli anni novanta, si erano sciolti agli inizi del nuovo millennio, rimanendo comunque uno degli ascolti fondamentali non solo per quelli della mia generazione. A quell’apparizione di poco più di mezz’ora seguirono un tour dal vago sapore amarcord, un live album e poi Cattive Abitudini, che non solo ha segnato il loro ritorno in grande stile, ma è ritenuto da molti (aggiungo a ragione) il loro capolavoro. Tre anni dopo eccoci con un nuovo disco tra le mani, Aspettando i Barbari. Un lavoro di certo meno rassicurante e intimista del precedente, ma altrettanto intenso e d’effetto.

Se pensavate che il quartetto bolognese avrebbe cavalcato l’onda del premio MEI come miglior album indipendente realizzando una versione 2.0 del successo targato 2011 rimarrete delusi. C’è poco del calore e della confidenzialità che avvolgevano brani come Le nostre ore contate e Mi piacerebbe ogni tanto averti qui. Il titolo in questo senso è profetico: l’attesa di qualcosa di estraneo, che diventa angoscia, frenesia, incertezza. I barbari non hanno una definizione univoca: ognuno di noi è libero di dargli la connotazione che più gli aggrada, frutto del proprio vissuto. L’immagine di copertina, gentile concessione dell’artista Ryan Mendoza, rafforza quest’idea. Due sorelle  si abbracciano: una ha un atteggiamento di totale abbandono, l’altra la stringe, protettiva. Ma ha lo sguardo vigile, come attratta da qualcosa che fra un attimo spezzerà l’intimità della scena.

Ed è proprio questa la sensazione che pervade fin dalle prime note di Dio delle zecche: le parole di Danilo Dolci, attivista della non violenza, nella bocca di Emidio Clementi sparano come fucili, su un tappeto di synth e di riverberi che rendono i suoni non soltanto più digitali, ma vagamente elettro-dark, al limite del noise. La voce è oggi più che mai uno strumento, che si lascia contaminare dagli effetti, restando comunque libera di sottolineare un’intenzione semplicemente alternando un sussurro o un grido.

Ogni traccia percorre un sentiero, che ci porta in scenari di guerra (Compound e Il nemico avanza), ci catapulta nelle vite di persone comuni (La notte) ed esseri straordinari (Vic Chesnutt e Dymaxion song), crea davanti ai nostri occhi immagini estremamente vivide ed evocative (Silvia Camagni e Aspettando i barbari), fino al momento dell’arrivederci, che suona quasi come un addio, o magari solo come la fine di un capitolo e l’inevitabile inizio del successivo (Da dove sono stato).

In un certo senso Aspettando i Barbari non si discosta in maniera eccessiva dai precedenti lavori dei Massimo Volume: il modo sempre molto riconoscibile di suonare la chitarra di Egle Sommacal e i testi densi ed evocativi di Emidio Clementi sono il trait d’union con il passato, ma è come se l’evoluzione dei suoni occorsa in quest’album rappresentasse un modo per prendere formalmente le distanze da quello che è stato: non più il fantasma di una formazione che con il suo modo originale di esprimersi ha fatto la storia dell’indie del secolo scorso, ma una nuova realtà perfettamente in grado di stare al passo con i tempi e di muovere in noi le emozioni (e reazioni) più disparate.

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