Marquez
Lo Stato Delle Cose
(The Orchard)
pop-rock
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Anche se non si direbbe il tempo vola davvero. Sono passati già 4 anni dall’ultimo lavoro di Marquez (al secolo Andrea Comandini) che, giusto pochissimi giorni fa, ha distribuito il nuovo Lo Stato Delle Cose, un disco autoprodotto e fatto in casa.
Da dove bisogna partire per descriverlo ce lo dice proprio lui.
“Dal punto più drammatico della messa in scena, quando tutti si aspettano che la sceneggiatura abbia uno slancio risolutore verso i tre/quarti della sua durata e invece non succede niente, si può solo guardare sempre più a fondo, fino a scavare dentro a ogni singolo dettaglio del quadro, fino a che se ne riescono a sentire gli odori e non si può che diventarne parte”.
Inizio ad ascoltarlo con fatica e un po’ prevenuto perché mi aspetto di ascoltare le solite sonorità che contraddistinguono la maggior parte dei giovani artisti italiani contemporanei.
E invece, nel complesso, le melodie non sono malaccio.
Invisibile, un pezzo grintoso, quasi AOR, in alcuni passaggi mi ricorda addirittura un certo mood alla Gianluca Grignani dei Campi Di Pop Corn calmierato da Planet Earth dei Duran Duran.
Anche Il Nero Denso Dentro Gli Uragani deve aver richiesto una grande perizia negli arrangiamenti, sempre incredibilmente curati e che cercano disperatamente di rifuggire all’ordinarietà.
“E’ un gesto lucido di sfida, malinconico e furioso. Una provocazione, una sorta di rottura rispetto a tutto ciò che è di immediato ascolto e di facile produzione”.
Altroché Milano si apre con una sonorità più ariosa e un messaggio sofferto che probabilmente potrebbe essere l’hashtag di questo album, “come siamo piccoli davanti ai nostri terminali, siamo terminali”.
Uno Scherzo Del Destino con le sue armonizzazioni, gli arpeggi, i suoni tribali e quelli che richiamano i gabbiani mentre si parla del mare, fa un po’ malinconia e ancora una volta le sue atmosfere mi rimandano altrove, e qui vi stupirò di brutto nel citare Parsley, Sage, Rosemary And Thyme di Simon & Garfunkel,di cui potrebbe essere una rivisitazione in chiave moderna.
L’incalzante intro di Sirena Muta mi conferma che, tutto sommato, se i Negramaro riempiono gli stadi e Marquez no potrebbe essere solo colpa, o meglio causa, di qualche sliding door, ma questo è un tema buttato lì così che meriterebbe un serio approfondimento a parte.
La semi acustica Ballata Per Questo Settembre, del resto, non è difficile da immaginare sottolineata dal background quasi liturgico di un coro di qualche decina di migliaia di persone.
Ma perché tutta questa elettronica?
“L’elettronica è rumore, il rumore è rottura, è elemento di disturbo che rompe l’equilibrio fra uomo e natura. E’ l’esistenza dell’imperfetto, la comprensione dell’errore contro le gabbie serrate di una società voluta dagli uomini, che non rappresenta gli uomini stessi”, spiega Comandini. “La musica mi stringe sotto lo stomaco. La scrittura per me è dolore – continua – È un luogo di verità, che la verità è dolorosa e il dolore è quanto di più vero ci sia al mondo. È il racconto intimo di me stesso a me stesso, una confessione, è il momento in cui esisto davvero, quello in cui, se sento chiamare il mio nome, io rispondo”.
Un’analisi interessante che mi guida verso l’epilogo di questo ascolto che, ancora una volta, mi piace concludere proprio con le parole di Marquez che, per la loro efficacia, meritano di sostituire le mie.
“Lo Stato delle Cose? E’ un rifugio, fatto di minuscoli pezzi di cuore, fegato, polmoni e occhi. Una casa sull’albero. Una barca nel mare in tempesta”.
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