Lydia Lunch & Cypress Grove
A Fitful of Desert Blues
(Rustblade)
alternative, blues, indie
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Dopo nemmeno un anno dall’uscita di Taste Our Voodoo, del novembre 2013, la madre del movimento No Wave, Lydia Lunch, torna con il suo nuovo album dal titolo A Fistful of desert blues. Forte della collaborazione con Cypress Grove, al secolo Tony Chmelik, l’album è costituito da dodici tracce sospese tra un blues melanconico, atmosfere western e ballate rarefatte.
Precocissima, Lydia inizia la sua carriera musicale verso la fine degli anni ’70, militando nell’ambito del progetto DNA, di cui fanno parte anche Robin Lee Crutchfield, i Contortions e i Mars. La cifra comune che contraddistingue questi musicisti è il desiderio di far deflagrare la forma canzone tradizionalmente intesa, negando ogni forma di melodia e di armonia. All’età di diciassette anni la Lunch entra a far parte dei Teenage Jesus and Jerk, come cantante e chitarrista. Nel 1979 esce il loro album omonimo: la voce graffiante, lamentosa e a tratti isterica, le chitarre distorte sono chiaro simbolo del malessere generazionale. Negli anni ’80 inizia la sua carriera solista, con Queen of Siams, il disco con cui da adolescente ribelle, si trasforma in una musicista completa, capace di rielaborare la rabbia in creazioni musicali di notevole spessore.
A Fitful of Desert Blues è un album intimista e dai toni caldi, in esso non mancano, tuttavia, richiami alle ribellioni e ai maledettismi di cui la Lunch fu paladina.
L’album si apre con una canzone quasi recitata dal titolo Sandpit, prosegue con due ballate lente e trascinati che ricordano Nick Cave (When You’r Better e Devil Winds). Revolver è forse uno dei brani più belli dell’album: una stanca chitarra country accoglie tra le sue braccia la voce di Lydia, che si fa volutamente sguaiata e sgangherata. Il ritmo semplice e ripetitivo, sembra evocare l’andamento delle lente carovane del west. I toni si fanno un po’ più decisi nel ritornello di Beatiful Liar, in cui il suono di chitarra sembra essere impreziosito qui e là dall’intervento di un banjo. L’album prosegue senza sostanziali mutamenti fino a End Of My Rope , che, insieme a Tuscaloosa rappresenta il momento maggiormente rock dell’intero album, che si chiude con il blues di Tb Sheets.
Anche se un po’ ripetitivo, soprattutto nella prima parte, in cui la fanno da padrona ballate cantautorali, il disco ha il merito di rievocare certi stati d’animo, tutt’altro che solari, anzi forse laidi e depressi, ma che hanno pur sempre il loro fascino.
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