Klam
Bleak
(White Birch Records)
shoegaze
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Tra muri di sensazioni, breakdown emozionanti (Depression riding cowboys), nebbie rarefatte (Mother! Oh god mother! Blood! Blood!) e definizioni post-punk di gamma, ecco avanzare Bleak dei toscani Klam, una risorsa di grazia shoegazer decisamente sognante e pigra, un nove tracce dalla forte intensità espressiva, oscure come un fondo di notte ai confini con una alba svogliata.
Disco di folte suggestioni, carico di pathos e – per togliersi ogni sfizio descrittivo – di quella stoffa Ottantiana (Bruce Campbell, Miss bulimia), che migra tra solitudini e malinconie che entrano immediatamente in circolo, segni riconoscibili di una estetica looner che con la naturalezza della torba, scava, ricama e porta via tutto con sé; la formazione toscana dei Klam non inventa nulla, ma riprende i fili mai spezzati di una bellezza notturna mai sopita, le ossessioni impalpabili del dopo punk iconoclasta che qui si rincorrono come nubi premonitrici di classe al cubo, di eleganza depressa al pari di un refolo di vento rimbalzante.
Con la spiritualità tricologia di un Robert Smith a gironzolare qua e la Mess with the best die in a nuclear test o l’amniotico trespass che inonda Pretty girls have aids, la tracklist innalza il suo potere vibrante a una spiccata tendenza a rimanere in testa per molto ancora, dopodiché tutto diventa difficile a staccarsi da questa poetica visione notturna imbastita dai Klam, una visione che gira e rigira dentro il suo mondo interpretativo e che possiamo dire una missione brillantemente – nei colori sfumati – compiuta.
Ottimo!
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