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Joan Baez: Whistle down the wind

Sembra proprio che con questo album (e di sicuro con il conseguente tour) Joan Baez, la paladina del folk americano, si stia preparando a dare l’addio alla scena musicale

Joan Baez

Whistle down the wind

(Proper Records)

folk

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recensione Joan Baez- Whistle down the windSi è parlato del venticinquesimo album in studio di Joan Baez come del suo disco di addio: è facile pensarlo, dopo che lei stessa ha annunciato che questo sarà il suo ultimo tour prima di ritirarsi dalle scene.

Ancora più facile pensarlo ascoltando queste dieci tracce, in cui la consapevolezza del tempo che passa e dell’approcciarsi della morte rendono pressoché inevitabile una sorta di bilancio, che rivela l’urgenza di voler prendere congedo con i propri modi e i propri tempi. Giunta a questa fase della sua vita, la folk singer per eccellenza sembra un po’ affaticata: la sua voce mostra qualche segno di cedimento, regalandoci minor nitidezza, ma la sua musica è sempre ricca di quelle sfumature e di quella passione che hanno fatto di lei un’icona.

Whistle down the wind è una raccolta di dieci pezzi scritti da altrettanti autori e interpretati con sentimento e senza paura di mostrare crepe o imperfezioni.

Dalla title track creata da Tom Waits ad Another world, traccia solo voce e chitarra sul decadimento ambientale di Anohni (Antony and the Johnsons), fino a Last leaf, dove la cantautrice dipinge ironicamente sé stessa come “l’ultima foglia sull’albero”, anche se oggettivamente sono pochi gli artisti che come lei sono riusciti a passare indenni attraverso gli anni e i cambiamenti delle mode, rimanendo fedeli a loro stessi e riuscendo sempre e comunque a veicolare un messaggio.

C’è spazio – ça va sans dire – per i temi sociali: da Civil War, canzone politica di Joe Henry, che dell’album ha curato anche gli arrangiamenti, intervenendo in modo davvero minimo, a The President sang Amazing grace, uno dei pezzi più recenti scritti dopo la strage di Charleston, fino a The great correction, che parla di un’America decaduta che non può far altro che risorgere.

Il disco si chiude con una sorta di augurio. I wish the wars were all over suona come l’eredità che questa grande donna, oltre che grande musicista, vuole lasciarci. Una melodia antica, una ballata settecentesca, che mette la parola fine a un lavoro davvero riuscito.

E se questo sarà realmente l’ultimo, beh, al contrario di molti altri suoi colleghi, lei potrà dire di aver lasciato quando era ancora all’apice.

 

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Simona Fusetta
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