Japandroids
Celebration Rock
(Cd, Polyvinyl Records)
alternative rock, garage punk
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E pensare che tutto doveva finire ancor prima di cominciare. Sì perché il duo canadese, registrato nell’estate del 2008 il primo album Post-Nothing, aveva intenzione di distribuire da sé questo lavoro di otto tracce agli inizi del 2009: dopodiché il gruppo si sarebbe sciolto, rinunciando persino alla promozione live del disco; di comune accordo le loro ultime apparizioni dal vivo dovevano essere quelle del Pop Montreal e del CMJ Music Marathon di New York dell’ottobre 2008.
Nonostante i dubbi iniziali però, Brian King (voce, chitarra) e David Prowse (batteria, voce), firmarono con una label canadese indipendente che li convinse a tornare ad esibirsi, impaziente di far uscire sotto propria etichetta il loro disco. Alla fine però i Japandroids faranno uscire Post-Nothing per la Polyvinyl Records.
Acclamato da pubblico e critica, l’album rappresenta un ritorno alle origini del rock; il rock duro e crudo, quello che parte dal garage rock degli anni ’60, che passa per il punk degli anni ’70, per finire nell’hardcore e nell’alternative rock anni ’80 e ’90. Forse è proprio il titolo Post-Nothing l’emblema della loro musica: Post-Nothing, ovvero “post-niente”. Non esiste un post-rock perché il rock è vivo e non c’è nessun “dopo”: in altre parole il rock ‘n’ roll non morirà mai (volendo riprendere il celebre anthem Neil Young-iano).
L’anello successivo del Japandroids-pensiero è il titolo di questo secondo album: Celebration Rock. il rock celebrativo, il rock che non cede alle mode, il rock suonato a folle velocità, il rock che per alcuni è solo rumore. Ispirati da Fugazi, Replacement, Sonics, Stooges, Hüsker Dü (e chi più ne ha più ne metta), il duo fa di distorsioni e velocità il proprio marchio di fabbrica. I riferimenti musicali sono abilmente assimilati e riproposti secondo una formula personale: con solo una chitarra una batteria e due voci, i Japandroids riescono ad ergere un impenetrabile muro sonoro di distorsioni, noise, feedback e drumming incalzante: i riff adrenalinici sono accompagnati anche da linee vocali abbastanza melodiche ed orecchiabili.
Il disco si apre e si chiude con fuochi d’artificio: una festa in piena regola, dove il festeggiato è senza dubbio il rock. Non mancano omaggi espliciti, come la open track (The Nights Of Wine And Roses) che riprende il titolo da un album dei Dream Syndicate, eroi del Paisley Underground. For The Love Of Ivy invece è la cover del brano dei Gun Club ispirato al voodobilly dei Cramps. I Japandroids sono un duo, ma la loro potenza sonora fa pensare che di fronte si abbia una band di almeno quattro elementi; tra l’altro raramente fanno ricorso all’overdubbing (Adrenaline Nightshift). La batteria è sempre intenta a martellare (The House That Heaven Built), e si concede una piccola pausa solo nella finale Continous Thunder, dove adotta un passo marziale: è la traccia meno tirata fra le otto che compongono l’album.
Le differenze sostanziali tra i due dischi dei Japandroids sono minime e sottili: la parola chiave è sempre distorsione e rumore, ma si ha l’impressione che il secondo sia meno sporco e lo-fi; tuttavia qui vengono sfruttati meglio i riff altamente adrenalinici.
Celebration Rock può suonare come una bestemmia nell’attuale panorama musicale, sempre più dominato dal mondo indie e da quei gruppi che fanno musica solo per piacere al più vasto pubblico possibile. La verità è che sono quasi sempre le band fuori dal coro come i Japandroids a creare qualcosa di musicalmente valido.
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