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Iron Maiden: The Book of Souls

Dopo cinque anni di assenza, la Vergine di Ferro (Iron Maiden) torna con The Book of Souls, un monolite che arriva direttamente dall’inferno. Un lavoro da maneggiare con cura, perché Eddie è pronto a rubarvi l’anima. E lo farà

Iron Maiden

The Book of Souls

(Parlophone / Warner Music)

heavy metal, hard rock

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Iron-Maiden-The-Book-Of-Souls-recensioneThe Book of Souls è un lavoro mastodontico. Doppio cd, oltre un’ora e mezza di musica, brani dalla durata colossale. A cinque anni dall’ultima fatica in studio, che per quel che mi riguarda ha velocemente cominciato a prendere polvere nello scaffale fin da subito, il ritorno della Vergine di Ferro   – gli Iron Maiden – è avvenuto davvero in grande stile.

The Book of Souls non è assolutamente un disco facile. Anzi. Un lavoro da ascoltare con attenzione, senza lasciarsi confondere dai ripetuti, ma mai prolissi, cambi di tempo. Pieno di idee interessanti e occorreranno diversi play sul vostro lettore prima di poter dare un giudizio definitivo. Passerete da “oh mamma, ma che è sta roba!” a “bello, bello, i Maiden sono sempre i Maiden!”.

Le tracce più lunghe, non meno di dieci minuti, come la title track, sono l’esempio della strana freschezza compositiva la cui complessità non disturba, senza intricarsi e contorcersi nelle stancanti evoluzioni di A Matter Of Life And Death.

The Red and the Black è già un classico. Dopo l’inizio in sordina ed infarcito un po’ troppo di coretti oh-oh-oh, dalla seconda parte fraseggio dopo fraseggio, assolo dopo assolo, ci regala un’entusiasmante cavalcata destinata a rimanere nella storia.

I fans più irriducibili avranno di che divertirsi con brani più accessibili: la furiosa Death or Glory, lo speed metal di When the River Runs Deep o il singolo (non riuscitissimo) Speed of Light. Sappiamo, come loro stessi hanno più volte ribadito, che i giorni di Killers e The Number of the Beast (com’è giusto che sia) non torneranno più. Gli Iron Maiden non sono più dei ragazzini e l’esigenza di sperimentare si è fatta sempre più strada. Ma per l’intera truppa lo smalto dei vecchi tempi è sempre lo stesso, così come i due tumori, ormai acqua passata, non sembrano aver intaccato l’ugola dorata di Bruce Dickinson.

Altra traccia, questa volta facile facile, che andrà direttamente nelle scalette live è Tears of a Clown dedicata allo scomparso attore Robin Williams; potente hard rock old school per un headbanging da torcicollo e da cantare a squarciagola.

Discorso speciale va fatto per la traccia finale Empire of the Clouds, una suite di oltre 18 minuti: la traccia più lunga mai scritta dagli Iron Maiden. Se non vi farete spaventare dall’intro con in nostro Bruce al piano (sì, un pianoforte classico in un brano degli Iron Maiden) saprà ricompensarvi. Un crescendo dalle note classicheggianti, marziali e quasi oniriche, diviso in più sezioni perfettamente amalgamate, ma dove non manca la cavalcata ricca di assoli. Una traccia che esce dagli schemi del gruppo inglese, ma proprio per questo ancora più bella.

Non ci sono pesanti giri a vuoto e The Book of Souls si mantiene ostinatamente su livelli mediamente alti di potenza, pathos e oscurità. Sì l’eccessivamente mid prog The Man of Sorrows non rimarrà negli annali, ma è l’unico episodio che ben presto verrà dimenticato.

Dettagli folkloristici a parte The Book of Souls è davvero un gran bel lavoro. Se vi reggerà il fisico (e l’orecchio) per ascoltarlo e riascoltarlo, vi darà tante soddisfazioni. E chiaramente… UP THE IRONS!

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