Iosonouncane
Die
(Trovarobato)
elettronica, indie-folk, ambient
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Immaginatevi da soli, avvolti solo dal torrido splendere del sole, in una landa desolata, arida, pietrosa. Qua e là qualche arbusto, due fili d’erba. In lontananza sentite rumori sordi e bassi che rimbombano da per tutto. Avete sete, tanta sete. La vostra bocca si asciuga, la lingua si incolla al palato. Quel suono cupo e profondo si avvicina. Nella vostra testa prende le sembianze del fumo nero di Lost. È più vicino, lo sentite alle vostre spalle, ma non avete il coraggio di girarvi. Incombe su di voi, vi è quasi addosso. Vi sfiora. È freddo. Immenso. Nero. (Tanca)
Siete a terra. La sabbia vi brucia le ginocchia. Avete ancora gli occhi chiusi per lo spavento. Qualcosa vi rimbalza sui piedi. Neppure il tempo di alzare la testa che iniziate a sentire lo scrosciare di voci e grida, il rumore delle onde. Rilanciate il pallone bagnato a due ragazzini che vengono a scusarsi. E’ un’estate italiana degli anni ’60, con i gabbiani che schiamazzano in cielo ed i cappellini. Un’estate che sta per finire: è l’ultimo giorno di mare ed il sapore del sale sulle labbra diventa un tutt’uno con la nostalgia. Di colpo è sera ed il rossore del cielo di Sardegna vi annebbia leggermente la vista. E’ una luce lontana, un faro, dritto davanti a voi, puntato in faccia. Talmente forte che dovete mettere una mano davanti a gli occhi. Sbattete le ciglia freneticamente. (Stormi)
Girate lo sterzo di colpo e scansate l’automobile alla quale stavate per andare addosso. Siete in auto ed il pensiero di un’estate finita vi ha talmente rapiti da farvi dimenticare di essere in viaggio per tornare in città. Stavate immaginato tutto. I lampioni vi corrono incontro. Le automobili vi sfiorano. Passate attraverso i cartelloni autostradali. Vorreste non arrivare mai per non spegnere gli ultimi ricordi, eppure accelerate inspiegabilmente. Ora il pensiero va al prossimo lunedì. Vi sentite come in un film immaginario in cui Gian Maria Volontè impersona un impiegato medio nell’Italia di fine anni ’70 e quell’impiegato siete voi. (Buio)
Abbassate lo sguardo verso l’autoradio spenta. Siete già sotto casa. Il parcheggio davanti al portone sembra stia aspettando voi da sempre. Il bagagliaio è zeppo di valigie. Carichi come sherpa fate le scale fino al portone. Disfate le valigie sul letto e c’è ancora della sabbia tra le pieghe dei vestiti che vi imbratta il letto. Pensate che la sentirete tra le dita dei piedi ancora per un po’. (Carne)
Il balcone è aperto ed un filo d’aria vi accarezza il viso quasi fosse brezza. Un ultimo pensiero alle onde mentre il respiro rallenta. Impostate la sveglia al solito orario, fate l’ultimo amore estivo con la vostra compagna, poi vi addormentate. (Paesaggio)
È ancora il deserto. Siete increduli. Vi ritrovate di nuovo tra le pietre, gli arbusti, l’afa. Ancora quel verso cupo. Il fumo nero. Iniziate a correre all’impazzata. Inciampate tra i sassi. Scivolate nella polvere. Le radici degli arbusti vi si avvinghiano alle caviglie. Non vi prenderà, non deve farlo. Vi manca il fiato. Raggiungete a fatica la spiaggia. Il ruggito del mostro è dietro di voi. Siete stremati. Di fronte al mare vi fermate. Le mani sulle ginocchia. Il cuore in gola. E’ un sogno…è solo un sogno! Raddrizzate la schiena e prendete un bel respiro. Il mostro si avvicina. Prendete coraggio. Vi voltate. Poi il suono della sveglia. (Mandria)
Recensire questo Die, secondo lavoro di Iosonouncane, uscito a cinque anni di distanza dal precedente, è stato un compito lungo ed intenso. Cupo, intenso, ambizioso, questo album si rotola su se stesso in una sorta di concept in cui le melodie e le immagini ritornano da un brano all’altro. Si percepisce un grande lavoro di sottrazione svolto dall’artista. La costruzione dei layer di suoni, elettronica, campionamenti è costata fatica tanto quanto la scarnificazione di ogni aspetto della forma canzone. E’ un cantautore anomalo Iosonouncane: alimenta il culto, vivo intorno alla sua figura, centellinando le manifestazioni della sua ispirazione. Ci regala un disco dal peso specifico notevole, sicuramente non immediatamente fruibile. Bisogna ascoltarlo e riascoltarlo mossi dalla sete, poi immergersi in un racconto di spiagge, ritorni e mostri nascosti in Sardegna. Come è successo a me, traccia dopo traccia.
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