Il Confine
Il Cielo di Pryp’Jat’
(Alka Record)
indie rock
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Due anni dopo Ctrl+Alt+Canc, il loro disco di debutto, torna Il Confine, quintetto di Brindisi che si rimette in pista con questo nuovo album Il Cielo di Pryp’Jat’, dedicato all’omonima città fantasma ucraina a 20 kilometri da Chenobyl, a due passi dalla Bielorussia, teatro di un’evacuazione dovuta all’incidente alla famosa centrale nucleare del 1986 e che ha fatto da ambientazione per alcuni film (Godzilla, Transformers, Die Hard), qualche missione nei videogames (Call of Duty, Modern Warfare) ispirando progetti musicali (Marooned dei Pink Floyd, l’album del chitarrista dei Marillon, Steve Rothery e questo lavoro della band brindisina).
Abbandonati, ma non del tutto come si avverte in Tentacoli, gli echi alt-rock alla Ministri, Il Confine tirano fuori 11 brani dal sapore indie-rock con chitarre distorte e melodie autorali in cui condividono con l’ascoltatore sentimenti che affiorano dagli Abissi di queste canzoni a tratti furiose e dall’aria greve e malinconica, che riconducono ad una sorta di solitudine nell’animo umano. La band utilizza linguaggi musicali dove il noise, la sperimentazione e il metal declinano verso un viaggio lirico pieno di dolore, riflessione e speranza.
La capacità di proiettare un pugno di canzoni in un contesto drammatico per rappresentare da una parte una pagina nera della storia, dall’altra ardori quotidiani dell’animo umano, senza adoperarsi a sottili giochetti paraculi per acchiappare qualche ascoltatore in più, ci convince che il loro lavoro ha una genuinutà di fondo, coadiuvato da un intenso approccio alla composizione, sorretto soprattutto dai buoni riff della chitarra di Mattia De Mitri, ultimo acquisto direi azzeccatissimo.
A volte può non convincere la voce di Ercole Buccolieri sulle strofe, vedi L’Ultimo Giorno, poco incisiva e flebile, ma di derivazione mediterranea, che sugli alti si adagia adeguatamente sul mood mesto che pervade l’album. C’è comunque un bel lavoro di squadra, non solo fatto da chitarre e un comparto ritmico congruo ma anche un pianoforte che introduce Duemilacentotre e che si fa largo in La Sintesi. Il Cielo di Pryp’Jat’ è pertanto un album lirico, sgargiante, di intensi chiaroscuri, con chitarre graffianti e il tocco feminile di Ancla che con la sua voce supporta i momenti più drammatici del nuovo lavoro de Il Confine.
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