Honeybird & The Birdies
You Should Reproduce
(Cd, Trovarobato)
world, tropicana, psichedelia
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E’ strano come il consiglio spassionato di una ginecologa (nella fattispecie quella di Monique “honeybird” Mizrahi, cantante e polistrumentista di Honeybird & The Birdies) possa dare vita non solo a una profonda riflessione sul genere femminile, ma addirittura a un album, che finirà col portare come titolo proprio quello stesso suggerimento. You Should Reproduce nasce così, da un’erronea quanto antica concezione che la donna debba riprodursi solo perché è in grado di farlo. Poi, come spesso accade, si è aggiunto altro. Molto altro.
Prima di tutto, gli altri due componenti della band, Paola “p-birdie” Mirabella (batteria e cori) e Federico “walkietalkiebird” Camici (basso), che con le loro origini (rispettivamente sicule e torinesi) hanno contribuito a vivacizzare il melting pot di Monique (italo-americana). Poi Enrico Gabrielli alla produzione dell’album, noto ai più non solo per il suo talento, ma per i numerosi gruppi che lo vedono coinvolto (Afterhours, Calibro 35, Mariposa). A chiudere Tommaso Colliva, che ha messo mano alla post-produzione e che, per chi non lo sapesse, è produttore di Afterhours, Muse e Franz Ferdinand.
Una presentazione ineccepibile, che non lascia margine d’errore. L’unico rischio però, quando metti insieme così tanti input diversi, è che venga fuori un’accozzaglia nonsense. Spettro che inevitabilmente si materializza leggendo il comunicato stampa che accompagna You should reproduce. Non potevo essere più lontana dalla verità.
Il secondo album di Honeybird & The Birdies stupisce per la varietà di suoni che riesce a contenere. Se in To the Earth’s core sembra di essere in un’isola del pacifico o nelle foreste con le tribù indigene, in Where d’ya live yo? siamo nelle strade di L.A. a rappare. E se Canopy dream è psichedelica, Eine Kalte Geschichte è anni ’80.
Continua a stupire per la scelta degli argomenti: la teoria della “terra cava” di Edmund Halley (To the Earth’s core), l’East Village di NY (East Village), le spiagge del Sud della California (Swimming Underwater), Mali e il Burkina Faso (Canopy dream) e i genocidi perpetrati ai danni dei buddisti in Cambogia e degli armeni da parte dell’impero ottomano tra il 1915 e il 1916 (Parejil).
E ci provoca un ultimo guizzo di stupore per le lingue scelte per i testi (inglese, italiano, tedesco e persino il dialetto catanese) e gli strumenti (charango, ukulele, contrabbasso).
Mi sembrano questi motivi sufficienti per ascoltare You Should Reproduce. Ve ne servono altri? L’album è stato finanziato da 150 persone, che tramite il servizio Kickstarter sono rimasti affascinati dalla musica di questa band. E in tempi di crisi, se il pubblico investe soldi propri in un progetto, vuol dire che merita davvero.
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