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Glasvegas: Euphoric Heartbreak

Saranno riusciti i Glasvegas a confermare il successo che li portò in auge ormai tre anni fa? Abbandonando i Jesus and Mary Chain ed abbracciando gli U2 esce Euphoric Heartbreak

Glasvegas

Euphoric Heartbreak

(Cd, Columbia)

indie rock, shoegaze

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Glasvegas- Euphoric HeartbreakSe vi piacciono le produzioni più che patinate, i testi da teenager idioti che cercano d’affrontare tematiche importanti (a.k.a. The O.C.), le voci ipersmielate accentuate da melodie esageratamente accentuate, il tutto permeato da quel fascino indie che poco meno di dieci anni fa stava salvando la musica e che ora la sta portando verso l’oblio, allora siete davanti al vostro disco. E questa recensione è per voi, per voi che potreste amare questo disco.

Facciamo chiarezza fin da subito: vi piacciono i The Killers? Perché in caso di risposta affermativa sono costretto ad avvertirvi che i Glasvegas di Euphoric Heartbreak si avvicinano moltissimo alla band di Brandon Flowers & co., soprattutto nell’impostazione pop della voce e dei brani, che scivolano sulle onde di uno shoegaze ballabile e pulito molto più vicino ai tardi U2 e ai Temper Trap piuttosto che a quello più caotico dei Jesus and Mary Chain e dei primi My Bloody Valentine (dai quali gli scozzesi attingevano a piene mani durante le registrazioni del loro omonimo album datato ormai tre anni fa).

Debbo per forza di cose concludere la recensione per voi che potreste amare questo disco, dato che non avrei molto altro da dire, e comincio ufficialmente la recensione per tutti gli altri potenziali ascoltatori.

Il disco appare pretenzioso sin dal primo istante: la curatissima produzione che troppo esalta le mirabolanti imprese vocali di James Allan e il vago concept che si può trovare dietro il testo di ogni canzone sono solo alcuni dei punti deboli del disco, nonostante tatticamente dovessero essere proprio questi i punti forti. I Glasvegas hanno puntato ad abbindolare un’intera generazione di ragazzi e ragazze, quelli innamorati di Skins (il telfilm) e di 500 Days Of Summer, forti del successo quasi meritato del loro debut album (che però è poca cosa rispetto ad un disco nostrano come Dopoguerra dei Klimt 1918) e dell’hype che inspiegabilmente portavano con se.

Euphoric Heartbreak è una ripresa di quel pop anni ’80 stile Echo and the Bunnymen di Ocean Rain in versione sterile. Manca totalmente quel fascino oscuro, quell’aria di novità, quel pop da classifica totalmente disinteressato. Ecco, quello che si percepisce chiaramente da questo album è che i Glasvegas stanno semplicemente cavalcando un’onda, seguendo i gusti di una generazione, una moda che inevitabilmente ha già stancato in molti. Spero.

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Stefano Ribeca
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