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Giobbe: recensione di Gentle Dwellings

Giobbe con Gentle Dwellings confeziona un album piacevole e dal piglio internazionale.

Giobbe

Gentle Dwellings

(Soundinside)

alternative

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Fabio Giobbe deve essere uno cresciuto a pane e R.E.M., soprattutto quando Mills e soci incendiavano le radio college a cavallo tra gli anni ottanta e novanta. Il suo nuovo lavoro (Gentle Dwellings) sembra che sia un vero e proprio omaggio alla band di Athens da cui ha preso in prestito il gusto delle melodie e anche un’impronta vocale che non può non ricordare quella dell’immenso Micheal Stipe.

Fatta questa doverosa premessa, è importante, altresì, sottolineare come l’artista italiano sia in grado di scrivere delle belle canzoni, piacevoli da ascoltare anche più volte, grazie ad un talento che si deve per forza avere nel proprio DNA, al netto di influenze e retaggi giovanili.

Lo si capisce immediatamente quando ci si trova dinnanzi alla doppietta formata dall’opener elettrica As I Am Falling e dalla semiacustica Terrible Tides in cui l’impronta chitarristica pare proprio quella di Peter Buck.

I brani, ad ogni modo, danno l’idea di viaggiare in maniera autonoma, perché sono godibili e pieni di aperture melodiche di grandissimo ordine. È sinceramente impossibile rimanere impassibili dinnanzi a pezzi come la malinconica Let Me Tell You, l’acustica Whenever You Did Ask (che sa tanto dei Toad The Wet Sprocket) o l’intrigante Safety Walls.

In questo modo Giobbe, con un sound tipicamente alternative, si può consegnare ad una dimensione internazionale, vista l’ariosità e la completezza di canzoni che farebbero gridare al miracolo se fossero state scritte da artisti non italiani.

In sintesi, Gentle Dwellings, pur essendo un platter chiaramente derivativo, porta in sé le stimmate dell’opera di qualità, dove la capacità compositiva, il gusto per la melodia e la completezza d’insieme rappresentano il giusto lasciapassare per una carriera, si spera, luminosa.

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Francesco Brunale
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