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Europe: War of kings

Ancora ossessionati (noi e loro) dal singolo-tormentone The Final Countdown, tornano gli Europe col nuovo album War of Kings, in cui continuano a rimanere a sé stessi e a sfornare ottime canzoni di melodic hard rock

Europe

War of Kings

(UDR)

hard rock

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recensione-europe-war-of-kingsAncora ossessionati (noi e loro) dal singolo-tormentone The Final Countdown, tornano gli Europe col nuovo album War of Kings.

Il riff intorno al quale è costruita la title-track è tanto semplice quanto efficace e disegna un profilo hard-rock che rallenta al ritmo di marcia che accompagna le inattese tastiere di Mic Michaeli e una splendida linea vocale. È un gran bel pezzo che tentenna sul mio pc e mi conquista soltanto al secondo ascolto, quando lo sparo a tutto volume sull’impianto hi-fi facendo letteralmente tremare i vetri delle finestre.

Hole in my pocket si delinea sulla medesima falsa riga con una chitarra “effettata” che propone un giro di accordi sul quale Joey Tempest è il mattatore che tiene testa agli assoli di John Norum, stavolta distorti e quasi heavy.

Second day è certamente il pezzo più emblematico dell’intero album in cui la produzione di Dave Cobb calca la sua impronta orientata ad un hard-rock pronunciato e lineare accennando una sperimentazione controllata che incede in qualche cliché di troppo. Il refrain, fosse finito sotto il cesello di gente come Ron Nevison o Kevin Elson, sarebbe diventato il più classico degli hook.

E qui si apre una riflessione inevitabile su ciò che sono stati gli Europe – vien da pensare loro malgrado – e su quello che sono ora.

Ma non c’è tempo di fermarsi sulla nostalgia, sulla sorpresa o sulla apprezzabilità di chi finalmente abbandona i grossi compromessi, perché Praise you torna a pestare sentieri certamente battuti ma che lasciano sbirciare paesaggi sempre gradevoli, dove le chitarre si fanno più blues e i riverberi strizzano l’occhio a certe sonorità strumentali fortemente evocative.

Nothing to ya, caratterizzata dalle rullate e dall’organo, è composita e composta ma si lascia ascoltare mentre California 405, con la sei corde che toglie gli stivali e le borchie per scoprirsi imbrigliata nel prêt-à-porter piuttosto borghesotto di un chorus dagli echi Eighties, è forse il brano meno riuscito. A stretto giro di posta la sinuosa Days of rock’n’roll è un divertissement cui già il titolo, che promette e mantiene, aderisce alla perfezione.

Children of the mind riprende il filo di un album che, sin qui, si sviluppa tutto sommato omogeneo.

Rainbow bridge è un potenziale singolo e, probabilmente, la traccia più radiofonica.

E poi eccola, finalmente, la ballatona che da ascoltatore disattento della band svedese attendevo dall’inizio, Angels (with broken hearts), che cerca di impastare con sonorità ricercate una melodia primigenia, riconoscibile traccia di un passato gloriosamente fulmineo.

Ci pensa Light me up a risollevare il ritmo e a cedere il proscenio alla strumentale e un po’ presuntuosa Vasastan, che chiude il sipario su un lavoro certamente bello nella sua prima metà ma che rallenta il passo strada facendo.

Un buon punto di arrivo, o di partenza, per una band che, pur essendo più fedele a se stessa, appare comunque trattenuta in alcuni passaggi. Un light-metal che non deborda o un melody rock degenerato? Bisognerebbe chiederlo agli spettatori del tour che, dopo aver battuto il Sol Levante, è da pochi giorni sbarcato nel Vecchio Continente dove arene e teatri saranno invasi da yuppies o da metallari. Speriamo di poterlo verificare di persona visto che, attualmente, nessuna data italiana è prevista nello schedule ufficiale.

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