Edda
Odio i Vivi
(CD, Niegazowana)
Indie rock
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Non voglio stare a raccontare la storia di Stefano Rampoldi, il celebre Edda che ha fatto parte di quell’eroica band che porta il nome di Ritmo Tribale, sicuramente la conoscete già. Per una ripassata vi rimando al precedente album, recensito in questa pagina su Rockshock.
Ma partiamo proprio da Semper Biot, disco straordinario uscito a sorpresa tre anni fa grazie all’incoraggiamento degli amici di Edda e che ha ricevuto applausi e acclamazioni nelle apparizioni come al Mi.Ami e dintorni italici. Un disco di chitarra e voce da salotto, salvo l’elettricità accennata di Fango di Dio. Sonorità elettriche che Edda non intendeva utilizzare più di tanto. Tutte balle.
Odio i Vivi è un disco sempre da salotto, di voce e chitarra elettrica, con l’aggiunta di archi che riempiono atmosfere intime grazie al lavoro di Walter Somà, che un’altra volta segue Edda e i suoi gorgheggi emozionanti, e di Taketo Gohara alla produzione artistica. Se tre anni fa era stato piuttosto diretto, ora Edda ci porta dentro al suo universo prendendoci prima per mano e poi lasciandoci liberi di girare nel suo spirito irrequieto. E’ un disco di immagini a metà e frasi a pezzi che a differenza del disco precedente non risultano così chiare e univoche e che lasciano smarriti.
Odio i Vivi parla di amore, di donne, di male di vivere. Perché per Edda la vita non dovrebbe essere un dannato stereotipo di figli da fare per sentirsi realizzati. E così ci racconta di un amore che “diventa merda dopo due settimane” (Anna) e di donne a cui abbandonarsi a “fare la serva” (Emma) con rapporti tormentati che diventano distanti e sterili e altri necessari solo per fottere (Marika). Ma getta soprattutto uno sguardo interiore scavando in se stessi, tra il bisogno di una figura concreta a cui sostenersi e la necessità di un conforto divino.
Non è un disco immediato che può colpire allo stomaco come Semper Biot, e proprio per i suoi testi impenetrabili e la sua irrequietezza sonora lascerà abbastanza frastornati. Personalmente trovo le canzoni esageratamente destrutturate e storpiate, come un disco etereo registrato in presa diretta in un songwriting improvvisato. La chitarra distorta che repentinamente parte per la sua strada trascinando via armonie umorali lo rende, come dire, anarchico. Fin troppo.
Edda gioca con parole e citazioni, richiama i “Tre Allegri Ragazzi Morti che sorridono” e collabora ad un brano, Gionata, con l’omonimo Mirai del Teatro degli Orrori. Zeppo di collaboratori, in questo disco suonano poco le percussioni, presenti lievemente in qualche brano come Topazio. Edda non nasconde i suoi difficili rapporti, un richiamo a dare un senso a trovare proprio il senso di questa vita. E’ come un libro aperto a libera interpretazione. Un’opera difficile e non scontata con melodie e metriche irregolari disturbate dall’eruzione vulcanica di una chitarra elettrica scomposta. Mi piacerebbe sentirlo in acustico, ma è magico e assordante e nel tempo lentamente si farà apprezzare.
Sito: myspace.com/stefanoeddarampoldi
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