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The Darkness: Pinewood Smile

Pinewood Smile è il quinto album dei The Darkness, album di dieci brani hard rock pieno di riffoni, falsetti, e qualche interessante variazione stilistica

The Darkness

Pinewood Smile

(Cooking Vinyl)

hard rock, glam rock

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the-darkness-pinewood-smileSono passati 14 anni dall’uscita di Promise Land, l’album di debutto dei britannici The Darkness che riuscì a sfornare una serie di singoloni di successo tanto da proiettarli nel gotha delle band rock più famose di questo millennio, premiata da dischi di platino e tournee affollatissime in giro per il globo, e ora i The Darkness pubblicano il nuovo lavoro intitolato Pinewood Smile, che sembrerebbe quasi un ritorno al passato, ma con le dovute cautele.

Il bilancio della loro carriera, per chi se li fosse persi di vista, è di 5 album all’attivo, con una parentesi subito dopo il secondo album in cui il singer, Justin Hawkins, piombato nel circolo delle droghe pesanti, si era separato dalla band, tentando prima una carriera solista pubblicando alcuni singoli sotto lo pesusonimo di British Whale e poi con una nuova band, gli Hot Leg, dai risultati lontanissimi dal stellare esordio. Nel frattempo gli altri componenti dei The Darkness avevano proseguito la loro strada prendendo un nuovo cantante, cambiando nome in Stone Gods e lavorando a nuove soluzioni stilistiche per un album a mio parere di tutto rispetto.

Tuttavia nel 2012 la reunion ha riportato la band dei fratelli Hawkins a pubblicare un nuovo album (recensito qui da Fabio Busi) e un successivo lavoro, certamente meno brillanti. La formula di questo Pinewood Smile è sempre la solita: un misto di sonorità scanzonate che vanno dagli AC/DC (Solid Gold) ai Queen (Japanese Prisoner of Love), con ballad non più all’altezza di Love is Only a Feeling, ma malinconiche e d’atmosfera (Stampede of Love). Non mancano esperimenti vicino al metal come Souther Trains o pezzi solari come Happiness che riportano a certe canzoncine leggerine tra Sum41 o Blink182 che non fanno né punk né pop ma scimmiottano ambedue i generi.

Alla batteria poi c’è Rufus Taylor, figlio del celebre drummer dei Queen, che quasi per scherzo è diventato ormai da due anni membro effettivo dei The Darkness. Stranamente le cose più interessanti si trovano nella versione DeLuxe, in particolare Rock in Space che ha un tiro punk-glam elettrizzante, sebbene gambizzato dal solito falsetto di Justin che interviene a spezzare un brano adatto a concludere in crescendo un eventuale musical rock.

Parliamo di un gruppo divertente, che sa suonare e innestare nelle canzoni dei riff parecchio accattivanti, e che trova nel live act il suo apice. Tutto sommato, mettendo insieme i brani migliori della loro discografia, bisogna riconoscere che se ne esce sempre soddisfatti dopo una loro performance dal vivo. Per quelli che sono rimasti impressionati da Promise Land e cercano ancora quello spirito inarrivabile, beh, il disco merita un ascolto. Ma io non prometto nulla, perché sapete bene che dopo il primo favoloso album una band raramente riesce a superare se stessa.

 

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Luca Paisiello
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