Dan Logoluso
Back From A Journey
Autoproduzione
orog-rock
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Dan Logoluso ha pubblicato il suo album di debutto Back From A Journey che, udite udite, è disponibile anche in versione fisica in un limited edition digipack acquistabile su mailorder@danlogoluso.com
Lui è un virtuoso della chitarra e il titolo, forse, ha a che fare con la sua lunghissima esperienza che lo ha visto suonare in varie band come i Quinta Symphonya, i Miradavaga, gli Eisernmann, in un viaggio, appunto, durato decenni.
Dal 2005 chitarrista e produttore dei Timesword, band progressive/metal con all’attivo il disco Chains Of Sin (7hard, 2010) che annovera il featuring di Bryan Beller, già bassista di Steve Vai, James Labrie, Guthrie Govan, Joe Satriani, Dweezil Zappa.
E anche questo nuovo lavoro si appone il fiore all’occhiello di un musicista d’eccellenza, il batterista John Macaluso (James Labrie, Yngwie Malmsteen, ARK, Jennifer Batten, TNT), che ne ha curato tutta la parte ritmica.
Ricordo che qualche anno fa un amico mi chiese di accompagnarlo a un concerto dei Dream Theater e io accettai perché, da Gigi D’Alessio in su, difficilmente rifiuto di andare a sentire musica live. Lui, il mio amico, batterista in una cover rock band, era in catarsi con la telecamera in mano e ha filmato l’intera, e dico l’intera, esibizione di Mike Mangini per poi studiarne e provare a replicarne i movimenti e i gesti tecnici di livello spropositato. Inizialmente, sarò sincero, sono stato stupito da una maestria strumentistica che ha tenuto lo scarso pubblico accorso al Forum di Assago congelato per l’intera durata di una gig priva di ogni pathos. Poi, dopo i primi due o tre pezzi, essendo feticista dei piedi e non delle suonate a tremila all’ora mi sono distratto a cercare ragazze con sandali e infradito da voyeurare con nonchalance fin quando ipnotizzate.
Ecco, Logoluso sarebbe stato il compagno di merende perfetto del mio amico visto che richiama in continuazione, oltre a tutti gli artisti già citati, il buon vecchio John Petrucci.
E i suoi brani, pur apprezzabili per composizione ed esecuzione, hanno un limite che poi non è nient’altro se non l’essenza stessa della sua musica: il virtuosismo.
La chitarra corre, piroetta, sale sulle montagne russe. Dan è un mago della sei corde, non c’è niente da dire. Però la perfezione delle sue esecuzioni non sa regalarmi brividi, è l’insegna nuova e luminosa di un tabaccaio che non è quella vecchia metallica rigata e arrugginita da decenni di intemperie, è la bellissima e lucentissima cucina di design in formica che non ha visto la guerra come la piattiera provenzale della nonna. Gli mancano le cicatrici, le imperfezioni, le sbavature.
Il suo sound è lo stesso di Petrucci e di tutti i suoi eroi. E, lo dico con il cuore in mano, se presentasse le tracce di Back From A Journey in un locale qualsiasi come tribute di Malmsteen, solo i fan saprebbero smascherarlo.
Se vi piace il genere impazzirete perché, lo ribadisco, l’album è suonato in maniera incredibile.
Ma che ci posso fare se io preferisco i vocalizzi affannati e mascolini di Madonna all’ugola d’oro di Celine Dion?
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