Damon Albarn
Everyday Robots
(Parlophone)
soulful, trip hop, britp pop
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A fugare ogni dubbio sulla reunion dei Blur, ecco un Damon Albarn in splendida forma che col suo nuovo lavoro da un forte segnale di quanto le sue produzioni si stiano sempre più distaccando dalle atmosfere brit-pop dei Blur e sempre più accostando alle sonorità della Bristol anni ’90 o ai brani targati Blur più introspettivi come The Universal o This Is A Low.
Il primo estratto eponimo Everyday Robots è un trip hop in salsa post dubstep che ricorda le atmosfere orientaleggianti di Monkey : A Journey To The West, contaminate da un certo gusto alla Ghostpoet.
Hostiles viaggia su territori ipnotico-eterei e convince solamente dopo qualche ascolto, mentre Lonely Press Play, una della punte di diamante dell’album è una delle più belle ballad mai scritte da Damon.
Man mano che avanza l’ascolto di questo album appaiono tracce dei lavori precedenti; Mr. Tembo ricorda la passione conclamata per le sonorità africane, già espressa in Mali Music, in un brano upbeat che ben calzerebbe anche fra il repertorio di artisti quali Jack Johnson o del Ben Harper più scanzonato.
Introdotta da un breve intro a suon di carillon, The Selfish Giant è uno dei brani più complessi di questo Everyday Robots; pianoforte e atmosfere pacate che sfiorano il jazz accompagnano la voce soave di Natasha Khan dei Bat For Lashes.
La lunghissima e tormentata You & I, incanta e convince sempre più ad ogni nuovo ascolto, candidandosi fra le migliori canzoni dell’album.
Hollow Ponds e Seven High guidano ad un’altra perla: Photographs (You’re taking now) avvolge e regala calore come una coperta di lana in una gelida notte invernale.
Con la ballata poco convincente The History Of A Cheting Heart ci si avvicina alla conclusione con Heavy Seas Of Love, brano tinto di gospel che molto si avvicina al sound della già citata The Universal.
Un album come non mi sarei mai aspettato. Un album da ascoltare ripetutamente. Un album che rilassa ma non annoia nemmeno per un secondo. Imperdibile.
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