Covenant
Modern Ruin
(Cd, Synthetic Symphony)
synth-pop, elettronica, industrial
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E’ stata rimandata più volte questa tanto attesa nuova produzione dei Covenant, che arriva a quasi 5 anni di distanza dall’ultimo album di inediti Skyshaper.
Fin dai primi anni ’90, quando esordirono con l’album Dreams Of Cryotank il sound dei Covenant si è contraddistinto fra i prodotti elettronici più virati al pop, con influenze alla Kraftwerk ma con un’attitudine più improntata alle sonorità degli Human League.
Con questo Modern Ruin non cambiano indirizzo e fin dall’omonima robotica prima traccia che funge da intro, ci si immerge in un ascolto che lascia un poco perplessi in fatto di originalità.
Il primo singolo Lightbringer resta in bilico fra le ultime produzioni più elettroniche degli Editors ed i brani più pop dei Prodigy. Ha però il pregio di avere un ottimo ritornello che si imprime nella mente.
Con la successiva Judge Of My Domain aumenta il ritmo e si entra un territorio techno-trance molto affine agli Underworld.
Sonorità techno-minimal per Dynamo Clock, immediatamente seguita dalla brevissima Kairos, molto ambient.
The Beauty And The Grace torna a strizzare troppo l’occhio all’elettronica commerciale e sa eccessivamente di già sentito, così come il modo di cantare alla Dave Gahan.
Di ottima fattura Get On, con un tappeto sonoro anni ’80 che la impreziosisce.
Si tinge di dark la techno sperimentale di Worlds Collide, mentre bagnata nell’acid house di Chicago è la troppo breve The Night.
Chiudono il cd l’industrial Beat The Noise e la techno ambient The Road.
Ad un primo impatto questo album dei Covenant colpisce maggiormente nei brani più complessi, quelli che non cercano a tutti i costi di invadere gli airplay radiofonici (sempre in ambiti alternativi comunque); a lungo andare invece la cosa che resta più nella testa è il cantato di Eskil Simonsson.
Questo Modern Ruin è comunque un album di buona fattura, ma da una band col background dei Covenant ci si attende sicuramente di più.
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