CocoRosie
Grey Oceans
(Cd, Sub Pop)
dreampop, folk
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In quasi tutte le recensioni di Grey Oceans finora uscite si è sempre fatto riferimento alla indiscutibile bruttezza della copertina. In realtà quella foto e quella grafica totalmente prive di gusto non dovrebbero stupire più di tanto. Si sa, le CocoRosie sono fatte così: è troppo facile cercare il bello, e così loro ostentano il brutto, il kitsch, il ridicolo, anche su loro stesse. Sierra e Bianca sono infatti due splendide ragazze che sfottono la propria bellezza truccandosi in modo improbabile, disegnandosi baffi e buchi neri nei denti e vestendosi con abiti fin troppo bizzarri. La stessa cosa accade per il loro quarto album: una brutta copertina è in realtà l’ingannevole travestimento di undici belle canzoni.
Grey Oceans è il disco più maturo e meglio riuscito delle sorelle Casady. I primi due dischi, La Maison De Mon Reve e Noah’s Ark, erano di un lo fi minimalista quasi esasperato, poi con The Adventures Of Ghosthorse And Stillborn il sound ha preso un’inflessione più orecchiabile, incrociando elementi pop e rap. In questo disco l’elemento weird e l’aspetto più consueto riescono ad accordarsi in un giusto compromesso.
Ci sono nenie sciamaniche (Trinty’s Crying e Smokey Taboo) e ancestrali inni religiosi pregni di misticismo (Undertaker e The Moon Asked The Crow) uniti in uno strano connubio con l’hip-hop di R.I.P. Burn Face e la techno di Fairy Paradise, brani che tuttavia hanno anch’essi un’atmosfera spiritata. Hopscotch rivela che le sorelle Casady non hanno ancora perso la passione per le filastrocche: un piano da vaudeville accompagna la voce di Bianca in una cantilena giocosa, fino a quando, con un improvviso sbalzo di umore, subentra la voce di Sierra che ricopre tutto di una venatura inquietante stemperata nel finale, affidato di nuovo alla filastrocca.
Grey Oceans è una commossa canzone per pianoforte, arricchita da remoti echii sospirati da Sierra; la voce principale è affidata a Bianca, che per una volta lascia perdere il suo solito cantato da ragazzaccia e intona una melodia di un lirismo e di una dolcezza per lei inconsueti; Lemonade, uno dei pezzi più forti, ha un ritornello e dei coretti retro, ammantati di una veste trasognata e magica. Gallows sembra invece un ritorno al primo disco, con versi di uccelli e di gatti usati come rumori di sottofondo e delicati arpeggi di arpa. In conclusione, Here I Come, dove una batteria con un incedere da marcetta si accompagna a dei distorti rumorini elettronici e a una voce parlata: un brano enigmatico, degna conclusione di un disco strano e criptico.
Le solite vecchie nenie infantili e paurose unite a un senso della melodia decisamente pop. Le sorelle Casady stanno crescendo. Ma è ancora troppo presto per cercare la perfezione; è più divertente continuare a travestirsi in modo stravagante scrivendo canzoni ambigue e spiazzanti, abitate da spiriti buoni e da incubi oscuri.
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