Caparezza
Prisoner 709
(Universal)
rap
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A tredici anni il piccolo Michele Salvemini rimase folgorato da DMC e si innamorò del rap, trenta anni dopo Michele, diventato per tutti Caparezza, fa uscire il nuovo album Prisoner 709 che tra le collaborazioni vede proprio DMC… un cerchio che si chiude, un sogno avverato, una porta che si chiude aprendone un’altra.
Prisoner 709, il nuovo album di Caparezza, sorprende come sempre: si stacca parzialmente dai precedenti lavori partoriti come concept album e si rituffa in un lavoro a tema, nelle radici di Caparezza, nella sua natura, il rap, senza però tralasciare la ricchezza musicale e la profondità intellettuale acquisite nel corso della sua carriera. A differenza di Museica e Il Sogno Eretico, in cui l’autore si confronta con l’arte nell’uno e con l’eresia nell’altro, in Prisoner 709 è Caparezza stesso a mettersi sotto la lente di ingrandimento.
Il tema principale in Prisoner 709 è la prigione mentale, sperimentata da molteplici punti di vista e da cui Caparezza, attraverso le sedici tracce, cerca di evadere. Un album pienamente introspettivo, per certi versi dicotomico, in cui Michele si contrappone a Caparezza (da qui 7-0 -9 ancora una volta numerologia, stavolta riferita alla somma delle lettere) e affronta le sofferenze, i dubbi, riflessioni e le reazioni sul proprio essere, sulla propria adeguatezza, sulle catene che tengono prigioniere le menti, in gabbie che non hanno bisogno di sbarre.
Le sedici tracce non tradiscono, sia a livello musicale che a livello di testi, con diverse citazioni sul mondo della psicanalisi, Jung, Nietzsche, Freud, Oliver Sacks, Philip Zimbardo (documentarsi sul suo esperimento carcerario di Stanford) mentre musicalmente la componente puramente rap è forse più marcata rispetto ai precedenti lavori, così come la ricerca sperimentale. Come sempre tante sono le collaborazioni in Prisoner 709, da DMC (Darryl Matthews McDaniels) a Max Gazzè a John De Leo.
Dicevamo dell’introspettività di tutte le tracce che, come in altri lavori, si aprono e si chiudono con lo stesso concetto, Prosopagnosia la prima e Prosopagno sia! l’ultima, tutte però arricchite da una specificazione in calce che spiega a quale fase dell’analisi della sua prigione mentale Caparezza fa riferimento.
La seconda traccia, che è anche il primo singolo, è Prisoner 709 (La pena), la composizione in cui tutti i fantasmi del carcere mentale prendono forma. Atmosfere cupe, un rap duro e aggressivo fanno da preludio ad un ritornello con un coro in pieno stile hard rock anno ’80.
Una chiave (Il colloquio – Aprirsi o chiudersi) è forse la canzone più autobiografica dell’album, in cui Caparezza mostra senza inibizioni la sua sofferenza, il suo travaglio salvo poi reagire e convincersi che c’è una chiave (appunto) per uscire dalla gabbia mentale in cui è costretto.
Ti fa stare bene (L’ora d’aria – Frivolo o impegnato) è la track più solare e positiva dell’album, si contrappone al polo opposto, Prisoner 709, così come il 7 al 9, così come Michele a Caparezza. Una positività pensante e contagiosa che sfocia nel ritornello, cantato da un coro di bambini, in un motivo che rapisce e attrae fin dal primo ascolto.
Sarebbe quantomeno prolisso affrontare tutte le sedici tracce, ognuna con stati d’animo, concetti, citazioni diverse in quanto per la loro complessità cadremmo nel Confusianesimo (un’altra traccia dell’album eheh), i pezzi però si legano ad uno stesso tema anzi rappresentano interpretazioni di un processo di autoanalisi profondo e sincero. A voi il compito, o meglio il piacere di scoprire come si conclude…
Lavoro complesso, intenso e profondo, a tratti persino cupo Prisoner 709 di Caparezza, per assimilarlo completamente ci vorrà tempo ma le impressioni e le emozioni entusiasmano e si intensificano ascolto dopo ascolto.
Personalmente ho sempre apprezzato l’evoluzione che dal primo album Caparezza ha saputo maturare, in un crescendo di qualità mai banale, con la capacità di rischiare e di reinventarsi ad ogni lavoro. E Prisoner 709 sembra avere tutte le intenzioni di non smentirmi…
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