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Caffè dei treni persi: Reincarnati male

In questo secondo album, Reincarnati male, il Caffè dei treni persi esce piacevolmente fuori dal seminato folk e si apre a favorevoli contaminazioni funky

Caffè dei treni persi

Reincarnati male

(Dischi persi)

folk, funky

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caffe-dei-treni-persi

Il Caffè dei treni persi nasce come formazione ufficiale nel 2007 riunendo musicisti dalle diverse esperienze e dai diversi percorsi musicali. Dopo un paio di EP pubblicano il primo album, partecipano a festival italiani ed europei e aprono i concerti di vari artisti. Reincarnati male è il loro secondo lavoro in studio, nel quale grande risalto è dato ai testi e alle tematiche sociali, accompagnati da un tappeto folk pieno di contaminazioni funky.

Reincarnati male è un disco con una doppia chiave di lettura; spostando l’accento sulla prima o sulla seconda a cambia la valenza dei testi, che passano dall’essere un insieme di racconti che parlano di esclusi e delusi dalla società all’essere il loro grido di protesta e la loro rivincita. In qualsiasi modo lo si affronti, ciò che salta subito agli occhi (o meglio, alle orecchie) è la raffinata e sottile abilità di questo sestetto bolognese di giocare con le parole, raccontando storie di un certo spessore in modo meno diretto di quanto normalmente vorrebbe la tradizione folk, celandole dietro a metafore o doppi sensi (La fabbrica dei pneumatici, Mani in pasta) non per questo meno pregnanti.

Sebbene le parole Emilia e folk nell’immaginario collettivo della mia generazione compongano immediatamente il nome dei Modena City Ramblers, devo dire che ascoltando Reincarnati male non mi sembra di trovarmi davanti a uno dei tanti album – passatemi il termine – fotocopia. Non solo la scrittura, ma anche le sonorità si discostano dalla tradizione quel tanto che basta per fare di questa band un prodotto non così facilmente incasellabile in un genere e per questo meno stereotipabile. Dal modo in cui gli strumenti vengono utilizzati per ricreare i suoni della fabbrica in La fabbrica dei pneumatici agli sprazzi di elettronica minimal di Luoghi extracomunitari, fino alla lenta e graduale metamorfosi dei brani, che cominciano a risentire di influssi più ritmati, assumendo toni funky che danno all’insieme una valenza completamente diversa.

L’ampiezza di vedute del Caffè dei treni persi ha permesso loro di realizzare un disco destinato ad abbracciare utenze musicali diverse: pur mantenendo le radici ben piantate nel folk, sono stati in grado di dare al proprio sound una ventata di freschezza che piacerà anche a chi ritiene di aver ormai superato l’età per “aderire” a un movimento tanto rivoluzionario.

 

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Simona Fusetta
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