Bruce Springsteen
Wrecking Ball
(CD, Columbia Records/Sony Music)
rock, classic rock
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Wrecking Ball, palla da demolizione: così si intitola il diciassettesimo album in studio di Bruce Springsteen, come dichiara lo stesso Boss: “C´è molto l’idea che volevo trasmettere: distruggere, per poi ricostruire, come dice la canzone […]. Gran parte del mio lavoro è stato indirizzato a misurare la distanza tra la realtà americana e il sogno americano, è quello che ho sempre fatto ed è quello che faccio ancora adesso”. Undici tracce prodotte da Ron Aniello e Jon Landau, come se fosse un disco “mio al 95%”, un album solista dove la E Street Band sembra assumere un ruolo secondario, come se la produzione non volesse intaccare la veracità dei brani con arrangiamenti troppo elaborati. “La prima parte del disco è piena di rabbia. Tutto parte dal 2008: c’era la crisi, la gente perdeva la casa, e nessuno ha pagato per questo”: uno Springsteen arrabbiato, schierato, poetico, quasi pittorico nel ritrarre la reale condizione sociale della American middle class.
We Take Care Of Our Own non è per nulla un pezzo patriottico da strumentalizzare come Born In The U.S.A., ma può celare una vena di populismo americano, come fosse una chiamata alle armi per salvare la nazione: coraggiosa la scelta di inserirla come prima traccia, visto che il resto del disco perde quest’ottimismo.
Lo spiantato di Easy Money cerca soldi facili in città con la sua ragazza, è vestito a festa e nasconde una Smith & Wesson, è un bandito metropolitano e ha le stesse colpe di un banchiere spregiudicato; Shackled And Drawn riesce a conciliare atmosfere gospel con la solita melodia redneck, cantando i macigni che ogni uomo porta sulle spalle.
Toccante la ballata Jack Of All Trades, impregnata di critica sociale perché “the banker man grows fat and the working man grows thin”, con un’emozionante chiusura in cui la Telecaster rapisce il nostro ascolto. Ancora gli oligarchi della finanza sono bersaglio della denuncia di Death To My Hometown, un inferno in cui l’America sta sprofondando e non sembra riuscire a risalire, così come This Depression, che racconta il punto più infimo della storia americana, con un rock tagliente ma sincopato, che regala ancora un finale ipnotico.
La title track Wrecking Ball (non inedita), che si scatena nel finale con organo e fiati, rivela una punk attitude dietro al country compassato dei primi minuti: con la palla da demolizione, l’indignato popolo americano deve distruggere per poi ripartire da un nuovo inizio.
C’è spazio anche per una canzone d’amore, You’ve Got It, che inizia acustica, cresce elettrica ed esplode con i fiati, intensa e passionale. The Boss risveglia i nostri animi con Rocky Ground, il pezzo della possibile speranza di rivincita, commisto e multiforme, che vanta un loop elettronico avvolgente, un cantato femminile da rimanere senza fiato, un intermezzo rap e un finale tipicamente gospel.
Sa commuovere Land Of Hope And Dreams (non inedita), che contiene l’assolo al sax di Clarence “The Big Man” Clemmons, straziante omaggio all’amico scomparso nel giugno scorso.
Chiude We Are Alive, un inno alle azioni nobili del passato, che riecheggiano nel presente, e all’auspicio di un futuro migliore per gli Stati Uniti, fischiettando.
Wrecking Ball canta la fine del sogno americano: rimangono solo le domande, non arrivano le risposte; per sfuggire all’incubo, bisogna tornare alle origini, al folk, alle nitide immagini di una realtà nuda e cruda, che fa male. Nell’anno delle elezioni, Bruce Springsteen non può stare in silenzio mentre democratici e repubblicani si contendono la sua patria. Rough, strong, desperate: solo il futuro è la speranza.
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