Bridgend
Rebis
(Orange Park Records)
post-rock, progressive, psichedelia
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Rajas è un uomo che compie un viaggio. Un viaggio che lo vedrà abbandonare il suo mondo ed i suoi affetti, per raggiungere l’isola di Rebis, un mondo nuovo. Nel suo viaggio egli verrà accompagnato dal mentore Sattva e dal suo vecchio amico, Tamas, i quali avranno il difficile compito di liberare il protagonista dagli affetti che lo tengono legato al mondo che si sta lasciando alle spalle. Questa è la storia che i Bridgend, gruppo post-rock dalle venature progressive e psychedelic di stanza a Bologna, ci raccontano nel concept album che prende appunto il nome di Rebis.
Un disco che non si limita a raccontarci la storia del suo protagonista, ma attraverso l’intelligente uso di suoni naturali e note musicali tende a proiettarci direttamente nel viaggio da egli compiuto trasmettendoci i suoi pensieri e le sue emozioni.
Composto da Andrea Zacchia (leader, chitarra e synth), Lorenzo Sirani Fornasini (basso), e Denis Kokomani (batterie), Bridgend è un progetto profondamente ispirato dal rock progressive degli anni ‘70/’80 di grandi band come i Pink Floyd, e tale ispirazione è ben individuabile sia nella composizione che nella scrittura dell’intero lavoro
Rebis, data la sua concezione tipicamente “concept”, si divide in tre parti che vedono i pezzi confluire l’uno nell’altro. L’opera (poiché è giusto definirla tale) parte con il morbido brano introduttivo Path to Ys. Il ritmo comincia ad aumentare già con il secondo pezzo The Sunken Cathedral nel quale risaltano le linee di basso prima che la chitarra attacchi a suonare.
La title track è un brano orchestrale ampio e seducente, mentre in Black Sun emergono nettamente le ispirazioni floydiane della band. Ad Archè viene affidato il compito di terminare questo viaggio, una traccia con cui i Bridgend ci lasciano con una decisa dose di energia.
Decisamente ben lavorato, Rebis è l’esordio intrepido e riuscitissimo di un progetto artistico senz’altro intrigante, un prodotto che presuppone pazienza e dedizione all’ascolto ma che, una volta immersi nel suo sterminato mare sonoro e semantico, saprà cullarci fra le sue onde.
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