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Blue Cash: When She Will Come

I Blue Cash, quartetto acustico, pubblica il secondo album When She Will Come, in cui l’impronta jazz si contamina di blues, pop e rock in un gradevole zibaldone musicale onesto, accattivante e, finalmente, originale

Blue Cash

When She Will Come

(Music Force/Toks Records)

folk jazz

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Blue Cash- When She Will ComeWhen She Will Come, il secondo album dei Blue Cash, è esattamente ciò che non ti aspetteresti mai di sentire nelle cuffie.

Innanzi tutto, se non ci fosse scritto nelle note di copertina, sarebbe impossibile capire che si tratta di un gruppo italiano, il che è già un buon punto di partenza nella percezione di chi scrive.

E poi perché il loro sound, già dalla prima nota della prima traccia, è tanto spiazzante quanto coinvolgente, e non so se è un caso che il nome del brano che avvia le danze sia proprio The End.

I Blue Cash sono un quartetto acustico e i loro membri hanno esperienze estremamente significative, tanto che è impossibile farvi capire chi sono senza citarvene qualcuna.

Andrea Faidutti, il chitarrista, ha “pesanti” trascorsi blues e jazz e, da sei anni a questa parte, ha intrapreso un interessante progetto di studio del sitar a Lahore, in Pakistan, con un maestro autoctono. E’ anche laureato in scienze antropologiche il che, in questa era di democrazia globale della parola, è un biglietto da visita abbastanza attraente.

Alan Malusà Magno arriva dal mondo del teatro e, dopo essersi diplomato all’accademia di arti drammatiche e cimentato con diverse compagnie, ha deciso di dedicarsi anche alla musica e, spaziando tra il rock e il jazz, si è diplomato anche al conservatorio di Trieste.

Marzio Tomada, tra una jam e l’altra, sta studiando basso e contrabasso al conservatorio.

Alessandro Mansutti, batterista, è appassionato di pop e rock ma ha inciso vari dischi con gruppi funk prima e jazz poi, tra cui Solitudini (2011) con il trio Juri Dal Dan, valutato dalla rivisa JazzIt tra i migliori dischi italiani dell’anno.

Insomma, sebbene di norma non sia mia abitudine schematizzare, in questo caso un breve estratto dei curriculum vitae era indispensabile per farvi inquadrare la cornice in cui si muove questa band, che si disegna partendo da basi solide e variegate.

E la poliedricità è proprio la chiave di questo lavoro ben costruito e ottimamente suonato.

Si balla, ci si rilassa e ci si diverte perché il sound, prevalentemente improntato al jazz, ha contaminazioni blues, rock, pop, senza però mai svilirsi in compromessi o facili cliché e, anzi, arricchendosi di trovate acute e mai prolisse. L’album è uno zibaldone musicale onesto, accattivante e, finalmente, o r i g i n a l e.

Per esempio provate ad ascoltare la deliziosa Do It For Nothing, una melodia accattivante accompagnata da una parte armonica oltremodo gradevole.

Stay With Me mi ricorda un po’ i Fab Four, con le sue note che sembrano fuori dal nostro tempo e che mi catapultano indietro di almeno cinquant’anni facendomi venire in mente quella battuta di Giallini nel film Perfetti Sconosciuti, “Le uniche coppie che vedo durare sono quelle dove uno dei due, non importa chi, riesce a fare un passo indietro. E invece sta un passo avanti”.

Va bene, se ci si riflette troppo si smorza l’entusiasmo pindarico del passo indietro e del passo avanti che, di primo acchito, danno lo spunto di riflessione giusto.

In questa epoca che è anche di democrazia globale della musica (perdonate l’autoparafrasi), chiunque può cimentarsi col feedback del pubblico mettendo in circolo qualsiasi cosa gli esca dalle corde di una chitarra. E quasi tutti lo fanno puntando a ciò che credono, o immaginano, essere innovazione, stranezza, “delirio”. E invece, vuoi o non vuoi, suonano tutti uguali o quasi, e spariscono nel giro di un tour o due nei locali underground.

E allora ben venga chi non ha timore di richiamarsi ai Beatles, a Elvis e agli Stones, tutti “rispolverati in chiave acustica”, così scrivono i Blue Cash nel loro comunicato stampa.

Ben venga chi fa un passo indietro e, invece, sta un passo avanti.

 

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