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Black Sabbath: 13

Dopo una separazione durata ben 35 anni, i padri fondatori dell’heavy metal, i Black Sabbath, tornano insieme quasi nella loro formazione orginale per un ultimo rodeo intitolato 13

Black Sabbath

13

(Cd,  Vertigo Records )

heavy metal

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Dopo una separazione durata ben 35 anni, i padri fondatori dell’heavy metal, i Black Sabbath, tornano insieme quasi nella loro formazione orginale per un ultimo rodeo intitolato 13.

Sin dalle prime note 13 ci trasporta indietro nel tempo fino agli anni ’70, come se i Black Sabbath e Ozzy Osbourne non si fossero mai separati. Le atmosfere cupe, le liriche orrorifiche e fantascientifiche ci trasportano in un mondo fatto di nostalgia. I riff pesati e insistiti, le linee melodiche depressive e malinconiche, c’è tutto il più classico repertorio dello stile dei primi Black Sabbath. L’esecuzione tecnica è impeccabile. La voce di Ozzy dall’inconfondibile timbro fa il suo dovere trasmettendo un carisma significativo ad ogni brano, pure senza strafare nei vocalizzi.

Del resto, l’obiettivo dichiarato del produttore Rick Rubin è proprio quello di tornare sic et simpliciter allo stile dell’epoca, senza mezze misure. Indubbiamente, 13 centra in pieno l’obiettivo. Chi ha ascoltato i primi dischi della band non può non notare le innumerevoli autocitazioni di cui è ricco l’album.  Unica concessione, evidente, alla modernità è la tecnica produttiva che si avvale di tutti gli strumenti tecnologici oggi a disposizione per pulire e limare i suoni e renderli perfettamente omogenei.

Tuttavia, il sound, le idee, i testi e le atmosfere di 13 sono veramente datati. La sensazione che ci ha trasmesso è di essere in un museo delle cere musicale, dove al massimo può regnare la nostalgia e l’ammirazione per i miti del passato, di certo non la travolgente energia vitale del metal.

Le idee che sarebbero state validissime alla fine degli anni ’70 oggi appaiono solo degli stanchi canovacci; le immagini orrorifiche, che fecero la fortuna dei Black Sabbath e specialmente della figura di Osbourne come “Principe delle Tenebre”, oggi fanno al massimo sorridere e appaiono perfino ingenue.

Infine, lo stile di produzione, molto preciso e professionale, ha finito per anestetizzare la forza propulsiva più autentica di questo genere musicale, che è quella dell’imperfezione, del sound un po’ sporco e rozzo, ma pulsante di vita.

In buona sostanza, 13 dei Black Sabbath è un disco riuscito a metà che non esalta, ma nemmeno fallisce il suo obiettivo, cioè quello di resuscitare (quasi letteralmente) uno stile ormai scomparso da tempo e lo fa chiamando a raccolta i suoi interpreti più carismatici. Non è impresa da poco.

 

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Luigi Raffone
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