Björk
Utopia
(One Little Indian)
experimental
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La Björk del 2017 si fa accompagnare da Arca, il producer venezuelano che aveva manipolato il suo precedente album, ma che qui è intervenuto sin dalla fase di composizione.
Messi da parte (quasi) del tutto i dissesti personali (un doloroso divorzio), Björk realizza con Utopia il suo album più lungo (ben 70 minuti) e stavolta ama perdersi fra flauti e campionamenti di uccelli islandesi e sudamericani, oltre che nei suoni della sua amata arpa.
Mediamente Utopia è ben più gioioso e aperto di Vulnicura, ma a tratti riprende le dolorose sonorità di quel lavoro.
In tutto l’album si percepisce un senso di (com)unione con l’ambiente e la natura, ma… non tutte le ciambelle riescono col buco.
Mentre Arca infatti è bravissimo nei suoi loop elettronici, meno cupi del suo solito per mettersi al servizio dell’ispirazione di Björk, non lo è stato altrettanto come produttore, là dove qualcun altro avrebbe messo le briglie all’artista islandese, evitando lungagini tanto inutili quanto pesanti come macigni.
Per concludere, Utopia non è nel il migliore né il peggiore album di Björk, bensì la fotografia di un momento di rinascita per un’artista da sempre ultra-sensibile, scattata dopo un periodo doloroso e che solo ora viene metabolizzato e – finalmente – guardato da un’altra prospettiva.
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