Astpai
Heart to Grow
(Cd, NoReason Records)
punk, punk-hardcore
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Molto punk e sprizzante punk da tutti i pori questo Heart To Grow dei giovani e nostalgici Astpai; peccato che, come quasi ogni volta che si parla di punk, genere facile ed orecchiabile, non si possa parlare di originalità; questo lavoro è infatti un concentrato di Rancid, Lars Friederiksen and The Bastards, Anti-Flag e più ne ha più ne metta, un condensato del punk Anni ’90 che non è morto ma che non si è mai rinnovato (ad eccezione di quei gruppi che l’hanno abbandonato per evolversi ed a favore di un genere diverso).
Chi scrive ama il punk fin dalla tenera età, ma trova un po’ insensato copiare, scimmiottare un genere che ha poco senso per gruppi nuovi; probabilmente la carica di giovanilismo e di ribellione pesano molto sugli Astpai, che di conseguenza, ed essendo probabilmente anche amanti del punk-rock e dell’hardcore-punk West Coast, trovano giusto che questo ormai vetusto e trito e ritrito genere sia ben adatto ad incarnare gli ideali della loro gioventù; come dar loro torto?? Purtroppo però il risultato è di scarsa originalità e chi ascolta da sempre punk-rock se ne accorgerà.
Qui non c’è nemmeno lo sforzo di mettere qualcosa di proprio in un sound già semplificato e fatto di quei due o tre accordi; l’unica varietà che esiste in Heart To Grow è forse solo l’alternanza tra punk-rock duro e puro e punk-hardcore tiratissimo, velocissimo e super gridato. Insomma, in poche parole tutto già sentito: cori melodici ma voci grattanti, chitarre basilari come grattuge, batteria minimalista e pentolosa, accelerazioni e rallentamenti e via dicendo…
Qualche virata hardcore old school si può ritrovare, ma solo a tratti, dal momento che è sempre la prevalenza del punk rock a fare da padrona.
Come si diceva poco fa, i giovani di oggi non sanno molto bene cosa sia la filosofia punk, cosa ci stia dietro, e pensano che solo il vestirsi stracciati e fregarsene di tutto basti ad essere considerati dei punkettoni fatti e finiti; purtroppo nell’era del consumismo anche la musica è diventata un modo per etichettarsi, per giustificare certi comportamenti e certi standard, ormai entrati nell’immaginario comune. Tanto di cappello comunque al punk-rock, ancora in grado di catalizzare l’attenzione su di sé, dopo tanto tempo, e di farsi portavoce di un disagio giovanile che è direttamente proporzionale al benessere materiale della società.
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