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Apparat: The Devil’s Walk

Apparat lascia spenti sequencers e computers e si mette a giocare col post rock. Il suo The Devil's Walk è puro sound, ma quanto alle melodie... Ascolta l'intero album in streaming

Apparat

The Devil’s Walk

(Cd, Mute)

post-rock

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apparat-the-devils-walkAtteso come uno uno dei dischi più urgenti dell’anno, The Devil’s Walk del ritrovato Apparat lascia a bocca aperta, per più di un motivo.

Reduce dai fasti del progetto Moderat, in condominio con i Modeselektor, Sascha Ring (in arte Apparat) aveva già dato segno di voler mettere da parte sequenzer, computer e piste da ballo con Walls, il bellissimo album realizzato qualche anno fa con Raz Ohara, salvo realizzare uno dei più belli volumi della serie Dj-Kicks, qualche mese fa.

Ma con The Devil’s Walk salta (definitivamente?) il fosso e si mette a giocare a fare i Sigur Ros.

Quello che ci aveva entusiasmato al primo ascolto live dell’album, in occasione del MIT di Roma, è proprio il limite dell’album: il sound. The Devil’s Walk è soprattutto “suono”: affascinante, ammaliante, sognate, troppo spesso già sentito. Ma soprattutto suono. A livello compositivo tutto il disco è di una fragilità che fatica a tenere in piedi praticamente tutte le canzoni del lotto.

Chiamati Patrick Christensen dei Warren Suicide e Joshua Eustis dei Telefon Tel Aviv, Apparat ha anche coinvolto una vera e propria band per scrivere quest’album, lasciando per sé il ruolo di compositore/chitarrista/programmatore di textures. A volte con un approccio cantautorale, a volte pregno di spirito chill out, spesso tentato dai Sigur Ros quanto da Tom Yorke (per non parlare dei pallidi tentativi di arrivare ai preziosismi vocali di David Sylvian), Sasha (amatissimo su queste pagine) stavolta riesce a meraviglia solo nel compito di mascherare la pochezza di fondo di quest’album con un sound tanto estatico quanto derivativo, lasciando senza beat reiterazioni di chitarra, di violoncello o di piano davvero (troppo) semplici.

Bisogna aspettare le tracce quattro e cinque, Goodbye Master e Candil De La Calle, per fare un sussulto e per trovare un po’ di genuina ispirazione. In Goodbye, inoltre, una parte importante ce l’ha Anja Plaschg aka Soap and Skin, un specie di piccolo genio della musica neo-classica (che vi invitiamo a scoprire, casomai vi fosse sfuggita).

Il resto è noia. Ma con un bellissimo sound.

 

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Massimo Garofalo
Massimo Garofalo

Critico cinematografico, sul finire degli anni '90 sono passato a scrivere di musica su mensili di hi-fi, prima di fondare una webzine (defunta) dedicata al post-rock e all'isolazionismo. Ex caporedattore musica e spettacoli di Caltanet.it (parte web di Messaggero, Mattino e Leggo), ex collaboratore di Leggo, il 4 ottobre 2002 ho presentato al cyberspazio RockShock.
Parola d'ordine: curiosità.
Musica preferita: dal vivo, ben suonata e ad altissimo volume (anche un buon lightshow non guasta)

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