Amanda Rogers
Wild
(Do It Together Records)
folk rock, blues, country
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Amanda Rogers esce con il nuovo album Wild, decidendo, curiosamente, di rilasciare un doppio, per un totale di ben venti tracce; la scelta, in tempi come questi, è decisamente coraggiosa!
Wild è un album ben fatto, ricco di dinamiche e di atmosfere retro; la cantautrice americana sembra aver voluto offrire un lavoro ricco di intuizioni piuttosto originali e, allo stesso tempo, rendere omaggio a diversi ispiratori.
Il brano di apertura Welcome to the show, ad esempio, si presenta con una tinta vintage e bei richiami beatlesiani, mentre in 10¢ Songbird Amanda tira fuori un po’ più di unghie, mettendo subito in chiaro, a chi si aspetta un disco molto pop, che la grinta non mancherà. L’influenza di Tori Amos, alla quale la cantautrice è palesemente molto ispirata, si avverte bene (ma non in maniera ingombrante) in Can’t Stop, brano più malinconico e riflessivo con parti vocali giostrate in maniera sapiente e un finale tutto da gustare; finito questo brano, veramente bello, parte Walking, dalle tinte molto più country folk, che ben si adatterebbe ad una rassegna di bei ricordi davanti a un caminetto acceso.
Nei brani successivi, Honey you’ll bee, More more more e Sing on la Rogers strizza l’occhio a momenti più blueseggianti, muovendosi bene in varie atmosfere diverse ma unite da un gustoso comun denominatore, anche grazie all’ ottimo lavoro dei musicisti che la accompagnano, ma è con And the birds will sing che il primo disco di Wild raggiunge il suo picco più alto: resta il ritmo blues, ma l’atmosfera si fa più cupa, pensierosa. La canzone è fotografica, molto emotiva ed il cantato si muove benissimo tra tecnica ed interpretazione al servizio di una struttura melodica che non è affatto male. Particolarmente degno di nota anche il crescendo sul finale.
Dopo Sad Song ci si chiede a questo punto se ci sia effettivamente il reale bisogno di un altro disco: questa prima parte non era per niente male, la cantante e il gruppo hanno mostrato delle ottime carte, spaziando bene da un’atmosfera all’ altra senza strafare ed ottenendo un risultato molto buono; in ogni caso la risposta alla domanda potrebbe essere: non necessariamente; questo primo disco poteva bastare a completare il lavoro…ma probabilmente la cantautrice ha ceduto all’entusiasmo di una buona ispirazione e ha deciso di mettere altra carne al fuoco e, in fondo, ci puo’ anche stare.
Anche il secondo disco inizia effettivamente bene, riprendendo solo in parte il discorso iniziato precedentemente: qui l’atmosfera si fa decisamente più pacata e riflessiva; stavolta la malinconia di fondo si tinge molto di anni ’60, come testimoniano i folk di Calendar Of Yesterdays o di Sweet Sleep. Ol’ Bag Of Bones ha invece degli ottimi lavori chitarristici, quasi vicini a sonorità di gruppi come Jefferson Airplane, mentre The State I’m in sfoggia (e questo, da parte di chi scrive, è veramente un complimento) dei richiami, soprattutto vocali, a Joni Mitchell.
10 Years Closer e American Dream hanno un qualcosa di fatalistico e di sognante, nascosto tra i loro giri in chiave minore, che li fa spiccare come migliori pezzi di questo secondo cd: delicati, più vicini al disco precedente, malinconici ma sereni come l’uggioso cielo di aprile che si vede alla finestra. Forse ho semplicemente azzeccato il momento per ascoltarle, ma queste due canzoni mi sono davvero piaciute!
Someone waits prosegue il discorso folk con la stessa bella malinconia, ma sembra ormai stabilito che questa è la piega della seconda parte, senz’altro meno eterogenea della precedente. Anche Genes I’m Always Wearing è un brano molto rilassante con bei giochi sonori, mentre Wild sfoggia un ritmo un po’ sveglio e delle orchestrazioni ben fatte. La cover finale dei Radiohead, Creep, è un bel saluto degno delle sonorità utilizzate.
Ok, forse no…non c’era effettivamente bisogno di un disco doppio: le canzoni sono di ottima fattura, ma il problema è che la seconda parte suona un po’ troppo monotona; a differenza del primo, che scorre molto, molto bene, il secondo, pur non essendo affatto privo di momenti affascinanti, è quel classico disco che ascolti per intero intero una volta sola. Forse prendendo i momenti davvero degni di nota poteva uscire uno splendido album di dodici tracce. Comunque il lavoro, nel complesso è davvero buono, ben interpretato e con momenti vocali davvero notevoli. Un ulteriore complimento va di diritto ai musicisti, che hanno saputo accompagnare sapientemente la voce di Amanda dando una spinta fondamentale all’espressività di Wild e creando un’ottima amalgama
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