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Alter Bridge: Walk the Sky

Con una cadenza certosina triennale gli Alter Bridge regalano ai fan il loro sesto lavoro - Walk The Sky - su cui c’era grande attesa da parte di addetti ai lavori e non.

Alter Bridge

Walk the Sky

(Napalm Records)

rock

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Alter-Bridge-Walk-The-Sky-recensioneCon una cadenza certosina triennale gli Alter Bridge regalano ai fan il loro sesto lavoro, su cui, come era logico aspettarsi, c’era grande attesa da parte di addetti ai lavori e non.

Sgombrando subito il campo dagli equivoci, questo nuovo CD è decisamente migliore del precedente The Last Hero, anche se sarebbe stato difficile fare peggio, dal momento che esso è sicuramente l’anello più debole della loro ricca discografia, live compresi.

Allo stesso tempo, Walk The Sky non raggiunge le vette dei primi due, ma può collocarsi, da un punto di vista della continuità, sul solco tracciato da AB III e Fortress.

Il primo singolo Wouldn’t you rather ha un ottimo tiro e sembra il fratello minore di Addicted to pain che faceva da traino a tutto Fortress.

Subito dopo arriva In the deep dal facile ritornello, ma dal suono troppo impastato.

Decisamente kitch è l’intro di Godspeed, scritta interamente da Mark Tremonti che poi si dipana in sonorità radio friendly. In pratica un brano molto diverso da quelli scritti nella loro carriera dove l’uso delle tastiere c’è e si sente particolarmente.

L’album, poi, si impenna con Native Son, un vero e proprio cazzotto nello stomaco, con un ritornello da brivido ed un muro del suono davvero dirompente.

Meno bene va con Take the Crown, con Tremonti che sembra dover pagare omaggio ai Muse con una chitarra iniziale che farà storcere la bocca a molti fan die hard.

Nella sua completezza il brano non è nulla di eccezionale, con un chorus molto banale. Il registro, invece, si inverte in meglio con la sabbathiana Indoctrination, pezzo cupo ed oscuro in cui la band paga dazio a Iommi e soci, oltre che agli Alice in Chains nella scelta di un ritornello, che soprattutto nella sua seconda strofa, ricorda le melodie malate di Layne Staley.

Le atmosfere diventano più sobrie con The bitter end che è una canzone che cresce con il passare degli ascolti. Non ha nulla di epocale, ma si lascia apprezzare. Pay No Mind è il classico brano da concerto su cui, molto probabilmente, gli Alter Bridge hanno lavorato di mestiere. Pochi fronzoli e ritornello facile ed immediato.

Come accade da ormai qualche tempo, c’è spazio per Mark Tremonti che si ritaglia una canzone su misura che non si discosta molto da quelle presenti nei suoi lavori solisti.

Forever Falling si apre con una dolce chitarra che fa da prefazione ad un riff granitico e veloce in cui la coppia ritmica formata dai troppo sottovalutati Marshall e Philips lavora da par suo. E’ un brano che sarebbe potuto essere epico, ma sembra che in questo caso Tremonti abbia dovuto tirare il freno a mano.

La fine del CD è vicina e qualche pezzo sarebbe potuto essere tolto. Clear Horizon, ad esempio, ha tutto della b-side. Discorso totalmente diverso per Walking on the sky, canzone di grandissima qualità che andrebbe ascoltata in religioso silenzio. Tear us part è un semplice riempitivo, mentre la fatica si conclude con la buona Dying Light che fa capire che l’instancabile duo Tremonti/Kennedy è una vera e propria macchina da guerra quando è ispirato.

Alla fine dei conti Walk The Sky è un bel ritorno da parte del quartetto americano, ma con qualche intoppo di troppo. Tutto sommato il pollice rimane tirato verso l’alto per uno dei gruppi migliori degli ultimi venti anni in ambito rock, nel suo senso più ampio della parola.

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Francesco Brunale
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