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Alosi: recensione di Cult

Alosi - ex Pan del Diavolo - pubblica Cult, il secondo episodio in solitario che sa tantissimo di musica indie, ma non come veniva concepita negli anni '90.

Alosi

Cult

pop

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Pietro Alessandro Alosi, nato a Palermo, ha un curriculum molto importante, visto che è in attività dal 2007 come autore e come voce e chitarra del duo Il Pan del Diavolo con cui ha realizzato ben cinque album e centinaia di concerti.

Con questo monicker si toglierà molte soddisfazioni, tanto da andare a suonare all’estero e raccogliere consensi in paesi importanti come gli Stati Uniti e il Belgio.

Dopo aver messo da parte questa esperienza e aver seguito anche un master alla corte di un guru come Steve Albini, in considerazione della sua nuova attività da produttore, Alosi nel 2019 decide di mettersi in proprio e pubblica il suo primo lavoro da solista intitolato 1985.

A distanza di tre anni arriva sugli scaffali dei negozi di dischi Cult, il secondo episodio in solitario che sa tantissimo di musica indie, ma non come veniva concepita negli anni novanta.

Qui ci troviamo dinnanzi a qualcosa di legato strettamente ai tempi che viviamo. Insomma, stiamo parlando chiaramente di musica, ma, sostanzialmente, leggera, che sarebbe perfetta per Sanremo e derivati.

Intendiamoci, Alosi sa il fatto suo, perché contamina la propria produzione di numerose influenze. Il reggae, sdoganato a fenomeno di classifica, lo si ritrova in Downtown che non avrebbe sfigurato in un lavoro degli Africa Unite.

Blues Animale, come rivela il titolo, è un omaggio moderno al blues, con spaccati elettronici che fanno tanto “figo”, mentre la titletrack ha un’atmosfera tipicamente viaggiante.

Non ci sono impennate rock, questo bisogna dirlo. Cult non è un disco che si può legare all’imprinting chitarristico. Di contro, si trovano ballads molto serene, come già detto in precedenza, quali Punto Di Non Ritorno e Fuori Di Programma che hanno tutto per attecchire negli animi delle giovani ragazze. Un diversivo sul tema lo si potrebbe identificare con la crepuscolare Camel Blu che ha nel suo DNA sofferenza e reale volontà di spingersi oltre il confortevole seminato della tranquillità. Universali, infine, si mantiene sui livelli delle precedenti composizioni, facendo capire come Alosi possa rivelarsi un nome interessante per le sonorità mainstream che vanno di moda in questi anni.

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Francesco Brunale
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