Al The Coordinator
Join The Coordinator
(Gas Vintage Records / la Lumaca Dischi)
folk-blues
_______________
Al The Coordinator, al secolo Aldo D’Orrico, è un musicista che arriva da Cosenza, e forse sta lì il suo limite più grande e invalicabile. Nel senso che se fosse nato a Old Creek oppure che so, anche solo a Birmingham, le cose probabilmente sarebbero state diverse.
Join The Coordinator è il titolo del suo album d’esordio come solista.
In passato aveva lanciato delle autoproduzioni con i Miss Fraulein per poi, dopo un tour che li ha portati a esibirsi anche in diversi festival tra cui Arezzo Wave, disperdersi tra altri gruppi e esperienze musicali varie.
La sua vena, che poi caratterizza questo disco in maniera più che pregnante, è scavata da una chitarra acustica che arpeggia veloce e da una voce che sembra fatta apposta per non scatenare risse da saloon.
Ci sono inserti di mandolino, banjo, pedal steel guitar e Hammond. Tutti nomi, tranne il primo, certamente da googlare su Wikipedia per i lettori più giovani.
O, almeno, per quelli che scopriranno piacere nel perdersi, al suono pacato di Al, tra gli infiniti boschi del Nevada dove i ruscelli di acqua purissima e cristallina hanno inventato la ritmica molto prima che i pattern di Garage Band ce li portassero fin dentro l’appartamento al quinto piano di viale Monza 1245, scala C, interno 34.
Non voglio essere nostalgico né tantomeno bannare la produzione di The Coordinator dalla amplissima definizione di “musica moderna”. Certo è un po’ fuori dal coro, questo è innegabile. E’ come un pedone che se ne rimane fermo ad ammirare stupefatto il miracolo di un’edera che si arrampica sul muro di un palazzo mentre tutt’intorno a lui è il delirio di persone che corrono di qua e di la con i cellulari in mano alla caccia sfrenata di Pokemon cercando di evitare lui, i pali della luce e ogni altro ammennicolo urbanistico che osi frapporsi al loro safari LCD.
Nei 10 brani totali ce ne sono tre di Bob Dylan, Salt Creek, Work On A Building e Girl From The North Country, che per molti potrebbero costituire l’input decisivo per non lasciar cadere nel vuoto questa recensione.
Forse, alla lunga, questo country ha il difetto di risultare, per quanto ben architettato, un po’ noiosetto. È altrettanto vero che la track-list è talmente frizzante e veloce che si arriva alla fine senza quasi neanche accorgersene e con un certo desiderio di premere “repeat” per verificare se davvero le si è già ascoltate tutte. Ma, in tutta onestà, non potrei biasimare chi, dopo la terza traccia, decidesse di saltare avanti e poi ancora avanti.
È un album coraggioso, al popolo l’ardua sentenza.
Gli ultimi articoli di AGab
- Eryn: Lady E - May 28th, 2018
- Skid Row: recensione concerto del 21 maggio 2018 (Druso, Bergamo) - May 22nd, 2018
- Pino Scotto: Eye For An Eye - May 2nd, 2018
- Gianluca Magri: Reborn - April 11th, 2018
- Zagreb: Palude - February 27th, 2018