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Quest for Fire: Quest for Fire

E' come quando i nostri genitori erano giovani e compravano i pantaloni a zampa. Fatto il loro tempo, li relegavano in soffitta, che tanto non sarebbero mai tornati di moda...come lo sono tornati loro, la stessa sorte tocca alle sonorità di cui è permeato l'album di debutto dei Quest for Fire

Quest for Fire

Quest for Fire

(Cd, Tee Pee Records)

indie, psichedelia

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QUEST FOR FIREQuest for Fire è il nome di un  quartetto di Ontario, composto tra gli altri da Chad Ross e Andrew Moszynski, fondatori dei Deadly Snakes. Se il loro sound vi era piaciuto, non disdegnerete nemmeno questa nuova militanza, anche se i toni sono decisamente più vintage rispetto a quelli squisitamente rock’n’roll degli inizi.

Se volessimo scomodare un personaggio del passato per descrivere l’omonimo album dei Quest for Fire, tireremmo in ballo Giambattista Vico con i suoi corsi e ricorsi storici. A quarant’anni da Woodstock, l’evento che ha segnato in modo indelebile la storia della musica, quelle atmosfere psichedeliche e rarefatte tornano a popolare i nostri stereo (tanto per usare un termine quasi retrò), suonate inverosimilmente da chi di quel periodo conserva i ricordi della propria giovinezza.

I brani di Quest for Fire partono da una base rock (We been trying to leave) per approdare a sonorità vagamente British (Bison Eyes), dopo aver vagato nell’oceano di epica vacuità Pink Floydiana (con gli 8 minuti di The hawk that hunts the walking), accompagnati da una voce cantilenante e dilatata, a tratti priva di espressività. Il punto di forza della band (e dell’album) sta proprio nell’aver attinto da questo calderone dal quale molti artisti stanno traendo ispirazione ultimamente; sì, punto di forza, perché se anche lo stile non rappresenta una novità, la differenza la fa la bravura tecnica dei musicisti; peccato però che il rovescio della medaglia, nonché il punto debole, stia proprio in un elemento, la durata dei brani, che sembra andare a nozze con un genere musicale tanto improntato alla psichedelia. Otto minuti potevano andare bene per The end dei Doors, ma se non sei Jim Morrison e non hai il suo carisma, beh, il rischio effetto soporifero è proprio dietro l’angolo.

Ci troviamo quindi di fronte ad una spicciolata di pezzi decisamente interessanti dal punto di vista musicale (perché, si sa, se la teoria dei corsi e ricorsi è valida, è perché qualcuno in passato ha fatto un buon lavoro), che però, a mio parere, non trovano nell’espressione vocale la loro pienezza.

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Simona Fusetta
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