Psychopathic Romantics
s/t
(Autoproduzione)
art pop
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È proprio vero che i sognatori affittano una dimensione temporale assai distante dal presente, e anche i casertani Psychopathic Romantics non sono da meno, il loro nuovo disco omonimo è un galleggiante onirico e melodico che ha la certezza di un catalogo di arie, arie che scorrono dalla tracklist per andare ad incastonarsi in un ascolto ipnotizzato, spaesato.
Dicono di essere una band italo-americana, ma di italiano onestamente non hanno nulla, un surplus di gemme, timbriche e sensazioni di provincia yankee, polveri, quarti di luna e odori di segale matura che impregnano tutto e che si fanno apprezzare enormemente sin dalla primissima nota; un corsivo di ballate e gigioneggi acustici, trombe sussurranti e una voce crooner che detta poesia e sentimenti in sequenza, tra sfaccettature e genuinità da vendere. Sette brani che si fanno godere al centro di una attenzione speciale, brani e atmosfere looner folk, post rock con tiri psichedelici ( senza tutti quegli agganci elettrici a deturpare i trip mentali che sgusciano da ogni angolo) che i PR trascinano come un fenomeno notturno, e dalle quali non riesce difficile riconoscere il retaggio di ascolti “illuminati” tra i quali sicuramente certi pindarici Flaming Lips d’antan.
Ascoltando questo disco diabolico si ha la netta dimensione di essere in un’altra parte del cielo, di quel cielo che fa da spessore tra acquerelli dissonanti e grazie rugginose, ma tutte fasciate strette da un pregio immacolato delle stesse rugiade di un John Hiatt e dei suoi sconfinati skyliner, e se si va incontro al caracollare pensieroso di Bread and circuses, al fischio gattonato che ibrida (I’ll see you there), vicino al girotondo educato di un mandolino estasiato (Einstein said) o tra i campanellini della bella e agrodolce (Thank you), quello che si poteva immaginare attaccato come ad un filo di palloncino si fa realtà, niente è posticcio, tutto è reale magia solitaria.
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