Il Primavera Sound Festival di Barcellona in 20 anni di attività ha saputo costruire una comunità internazionale. È stato capace di creare hype. È stato bravissimo a intercettare i trend musicali prima che esplodessero a livello planetario. Ha dato dignità a band piccole e piccolissime che non erano mai uscite fuori dalle porte di un piccolo club.
Il Primavera Sound Festival negli anni ha creato un vero e proprio miracolo, costruendolo mattone su mattone, diventando in breve The Place to Be.
Il patto tra il Primavera Sound e i festivaleros
E – cosa ancora più importante – ha fatto un patto col suo pubblico, i festivaleros, patto che quest’anno è stato in buona parte rotto.
E non è che negli anni le cose siano sempre andate lisce come l’olio, ma ogni edizione è andata via via migliorando e in ogni caso i pro hanno sempre pesato molto di più dei contro.
L’edizione 2022 del Primavera Sound Festival ha tradito questo patto non scritto col pubblico di vecchia data della manifestazione catalana e riconquistarne la fiducia sarà affare non da poco.
Perché tantissime affezionati, terminato il festival hanno (avevano?) in testa solo di cominciare a fare le prenotazioni per l’anno successivo (come me, che seguo il festival dal 2010)?
Perché il Primavera Sound ha saputo trasformare una semplice manifestazione musicale in una bolla spazio temporale in cui conta solo la musica, in cui gli headliners sono solo un in più in un cartellone mostruoso messo in piedi per soddisfare ogni curiosità più sfrenata, dando la possibilità all’appassionato di godere del piacere della scoperta, di girovagare tra la dozzina di palchi per ascoltare band che probabilmente altrimenti non avrebbe mai intercettato e che magari l’anno prossimo sarebbero state sulla bocca di tutti.
Quest’anno qualcosa è andato storto, ma soprattutto è stato rotto il patto
Il primo giorno del primo weekend (per recuperare lo stop da pandemia il festival ha raddoppiato la durata), giovedì 2 giugno, già alle 17 era chiaro che quest’anno sarebbe stato molto diverso. Un fiume di gente mai visto usciva dalla metropolitana per raggiungere il Parc de Forum.
Ben presto tutti i bar sono andati in tilt: i pagamenti via app non funzionavano, l’appello per trasformare il festival in cashless miseramente fatto naufragare dalle Reti che non funzionavano, mentre invece l’ingresso tramite app ha reso tutto più snello all’entrata.
Ma al di là della frustrazione di file anche di un’ora per prendere una birra, è stato subito chiaro che la quantità mostruosa di gente fatta riversare al Forum avrebbe fatto cambiare del tutto la natura del festival, che da un capo a l’altro si snoda per 1,3 km, con una marea umana che ha reso difficilissimi gli spostamenti.
Al di là infatti delle (inevitabili?) sovrapposizioni tra band con la stessa tipologia di pubblico (mettere i Bauhaus contemporaneamente a Nick Cave sappiate – cari organizzatori – che non ve lo perdoneremo mai), al di là delle defezioni dell’ultimo minuto causa Covid, al di là del fatto che i Massive Attack – annullati mesi fa – non sono stati sostituiti, spostarsi all’interno dell’area del festival era davvero difficile e ogni palco, anche i più piccoli dove suonavano le band più di nicchia, era affollatissimo.
E al di là delle simulazioni fatte al computer dalla società di ingegneria a cui s’è affidata l’organizzazione, l’idea di mettere i due palchi principali affiancati non è stata vincente. Tutt’altro.
Di come sono andati i concerti probabilmente avrete ormai già letto sui social. Io vi racconto la mia.
Tony Manero era fra noi (Les Savy Fav e Beck)
Il concerto più folle e squisitamente alternative dell’intero festival è stato quello dei Les Savy Fav. I veterani americani sono capitanati dal folle Tim Harrington che, mentre la band suona come se nulla fosse, fa di tutto. Arriva sul palco vestito in un completo bianco, al secondo brano è già in mezzo al pubblico, al terzo a torso nudo, fino a rimanere in mutande. Si porta uno spettatore sul palco, getta in mezzo al pubblico una pedana, ci si sale sopra e la fa alzare dalla folla, che così gli fa attraversare la platea, e poi… Noise rock e post-punk (influenzato dai Fugazi) flirtano per tutto il loro concerto, divertente, divertito e musicalmente ricco.
Beck, fresco di chiacchieratissimo divorzio dalla moglie e da Scientology, anche lui s’è presentato come un novello Tony Manero, total white, diverso nello stile di ballo, ma altrettanto divertente e divertito. La sua nuova band è ancora in rodaggio e c’è qualche base di troppo (usata soprattutto per legare i medley), ma con un repertorio come il suo… difficile non fare un concerto divertente, spensierato e in grado di far ballare tutti.
Le gite scolastiche (Black Country, New Road, The Linda Lindas, Aiko El Grupo)
I Black Country, New Road a pochi giorni dall’uscita del secondo album hanno visto la defezione del loro capo-banda. Non si sono persi d’animo (o forse sì, dovevano onorare i contratti firmati per le date estive) e hanno deciso di suonare dal vivo solo brani inediti, come se Isaac Wood (leader, cantante e chitarrista) non fosse mai stato nella band. Trovatisi a suonare davanti una platea sterminata, hanno messo in piedi un concerto raffazzonato, suonando addirittura annunciando brano composto due ore prima durante il sound check (in realtà era una battuta, il brano era stato composto qualche mese prima, ma il risultato non cambia, sigh). Una sorta di gruppo di ragazzini in gita scolastica con gli strumenti con sé. Tutto da rifare.
The Linda Lindas sono invece una band americana che avevo seguito lo scorso inverno attraverso i loro singoli, che mi avevano incuriosito parecchio. Non sanno tenere il palco e soprattutto non sanno cantare. Gli spagnoli Aiko El Grupo li ho ascoltati per caso, tra un concerto e l’altro, per evitare la traversata del Forum in mezzo la marea umana in preda a migrazioni bibliche. Ma credo che al festival anche loro ci siano finiti per caso sbagliando strada durante (l’ennesima) gita scolastica.
Il buio (Autechre, Bauhaus, Diiv)
Bauhaus al Primavera Sound 2022, foto di Gaelle Beri
Il buio più totale è quello in cui gli Autechre fanno piombare l’Auditori. Non per dire… proprio per fare. Né un lumicino, un proiezione, nulla. Suonano la loro IDM ostica, squadrata a matematica nelle tenebre più totali.
Le stesse tenebre in cui fanno piombare le nostre anime i redivivi Bauhaus. Sgombriamo subito il campo: il batterista è una schiappa e nella prima parte fa 3 o 4 errori, Daniel Ash corrode la sua chitarra a meraviglia, David J fende il suo basso come una mannaia (e ha influenzato intere generazioni della 4 corde), mentre per Peter Murphy i segni del tempo riguardano rughe e capelli, assolutamente non la voce e il carisma, che rimangono intatti. Canta reggendo uno scettro, si auto-incorona re, si crocifigge con l’asta del microfono per Stigmata Martyr, va alle percussioni per She’s in Party e strega il pubblico (sterminato) con Dark Entries.
Contemporaneamente, dall’altro capo del Forum, Nick Cave pare abbia fatto un concerto strepitoso, 2 ore di best of (qui un video di 40 minuti), con purtroppo una situazione critica e pericolosa al termine, creatasi al deflusso. Situazione critica che pare si sia verificata anche durante il concerto dei Tame Impala e che viene raccontata come assolutamente non gestita dalla security, indicata come scarsamente preparata.
Gorillaz, Idles e Diiv suonano in contemporanea. Gli Idles l’ho visti 3 anni fa (un pugno in piena faccia che lascia storditi), i Gorillaz li avrei visti volentieri per puro spirito ludico, ma scelgo i Diiv proprio per questioni di godibilità del concerto, sperando che richiami meno folla. Scelta premiata da un concerto che vede la band americana cresciuta tantissimo, matura, con arrangiamenti rinnovati e con ormai un repertorio da cui poter scegliere canzoni per fare un’ora di concerto senza momenti morti e sempre tirato. Ne rimango decisamente soddisfatto.
Come diventare dei giganti in soli 3 anni (Fontaines D.C.)
Di concerti durante il Primavera Sound 2022 ne ho visti tantissimi altri, tra cui mi piace ricordare la furia del collettivo The Armed, gli elegantissimi ma soporiferi Cigarettes After Sex, il secondo show dei giganteschi Low (avevo a fianco i Mogwai con le rispettive famiglie), i ritrovati e robustissimi The National (in formissima soprattutto nei brani più tirati), ma…
Ma i giovanissimi e ormai già veterani Fontaines D.C. mi rimarranno nel cuore. 3 album in 4 anni e sono già dei giganti. Col cantante più scazzato di Liam Gallagher, hanno fatto un concerto al fulmicotone, 14 brani di cui la metà dal recente Skinty Fia, in cui la band dà segno di una maturità sia compositiva e sia di resa live davvero invidiabile. Non date retta ai soliti detrattori, i Fontaines D.C. sono qui per restare. A lungo.
Conclusioni
Dopo il primo giorno di frustrante stupore per come le cose stavano andando storte, ho deciso che ero in ballo e dovevo ballare, ribaltando ogni programma che mi ero fatto e trovando comunque il modo di divertirmi al festival. Le critiche sensate e costruttive sono sacrosante, per carità, ma da qui a rovinarmi il tanto agognato festival…
E stavolta la shitstorm scatenata sui social ha portato i suoi frutti. Il secondo giorno gli organizzatori avevano risolto tutti i problemi dei bar, portando a max 10 minuti di attesa al bar (il che mi sembra efficiente e ragionevolissimo), ma rimane il triste sentore che ingordigia (troppa gente dentro, a dispetto delle cifre ufficiali che parlano di “solo” 80.500 persone il terzo giorno, 74.000 il secondo e un inverosimile 66.000 il primo), voglia di risparmiare (i ragazzi del bar impreparati e – ancor peggio – la security non sapeva che pesci prendere) abbiano preso il sopravvento rompendo il patto non scritto di cui vi parlavo all’inizio.
Fatto sta che quest’anno il Primavera Sound ha pesato parecchio anche sulla città, con i mezzi pubblici sempre strazeppi e i taxi impossibili da trovare.
E fatto sta che i rapporti tra gli organizzatori e gli amministratori locali non siano proprio idilliaci, tanto che il prossimo anno ci sarà un raddoppio del festival, già programmato per il periodo 1-3 giugno e con replica la settimana successiva a Madrid (che sia una prova generale verso l’abbandono di Barcellona?).
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