Barcellona, Forum, venerdì 28 maggio 2010
live report
_______________
Non si può sfuggire dagli anni ’90 …
Il pubblico medio del Primavera Sound fa l’abbonamento per tre giorni, senza alcun dubbio. Stasera invece in molti hanno il braccialetto che garantisce l’accesso al Forum di colore nero, segno che hanno acquistato l’ingresso solo per oggi, solo per i Pixies.
Per Frank Black e soci, esibitisi sul palco San Miguel all’1 e 15, c’è un fiume di gente che rende impossibile spostarsi, complice anche la contro-programmazione degli altri palchi, assente o quasi. Se non vado errato il loro ultimo disco di inediti è del 1991 e questo reunion tour, accompagnato da periodiche (e fasulle) news sulla band al lavoro per pezzi nuovi, va avanti sempre uguale da almeno sei anni. Nonostante i Pixies siano una delle più influenti alt-rock band di sempre, quindi, risulta quanto meno sorprendente l’amore e la passione di cui i loro fans li circondano. E invece … e invece è del tutto naturale, perché è la stessa passione e lo stesso amore che Deal, Santiago, Black e Lovering rivolgono al loro pubblico, in un mutuo e continuo scambio che produce musica e concerti al fulmicotone. Debaser produce il caos in ogni ordine di posto, Dig For Fire era attesa da molti, le conclusive Here My Man e Where Is My Mind (che tramite la colonna sonora di Fight Club ha fatto conoscere i Pixies anche ai più giovani) sono dei veri e propri anthems che lasciano l’amaro in bocca solo perché sappiamo che il concerto è alla fine. Prima della doppietta finale, non potendo abbandonarsi al rituale del bis, i Pixies fanno finta di lasciare il palco, con Black che cerca di convincere Lovering a continuare a suonare e il batterista che fa vedere di avere le vesciche sulle mani. Black gli suggerisce di sputarci sopra. Detto fatto: la saliva di Lovering dev’essere taumaturgica, il miracolo avviene e i “nostri” continuano per altre due canzoni. Personalmente credo che una band come i Pixies sia da ascoltare al chiuso più che nell’enorme platea di un festival, ma è comunque un gran bell’accontentarsi. Dopo il concerto dei Pavement di ieri … il serio sospetto di essere in pieno reflusso anni ’90 si fa sempre più forte ;-) .
… ma neanche dagli ’80!
Domani toccherà ai Pet Shop Boys tenere vivi i fasti del pop elettronico anni ’80, mentre stasera ci proverà Marc Almond. A dire la verità non sono in tantissimi a seguirlo, poco più della metà dello spazio (enorme) a disposizione del pubblico è riempito e qualcuno se andrà anche prima della fine nel vano tentativo di prendere una buona posizione per i Pixies. Almond si presenta con una buona band, con tanto di pianoforte a coda. Apre con Tears Run Rings ed è già un tonfo al cuore. Il pubblico lo ama, la comunità gay del festival è tutta riunita sotto il palco. Lui canta, balla e stona come al solito e sfoggia una viso tutto tirato a lucido (botulino? chirurgia plastica?). Attraversa un po’ tutta la sua carriera e non manca di farci ascoltare anche due brani di un imminente nuovo album, di cui uno tenta invano di rinverdire i fasti di Tainted Love, suonata come penultima ed accolta da un prevedibile boato.
L’indie sopravvalutato
La lunga seconda notte del Primavera Sound per noi era iniziata con le CocoRosie. So che mi tirerò le ire di molti (comprese quelle della nostra Sofia Marelli, che invece sulle nostre stesse pagine tesse le lodi delle due sorelle Cassidy), ma le trovo uno dei fenomeni più sopravvalutati degli ultimi anni. Bellissime voci, strutture musicali tanto fragili quanto curate ma … che palle! Mi rincuora osservare come il pubblico del Rayban abbandoni progressivamente la platea, un po’ per andare dai Beach House (che in Spagna sono delle vere e proprie celebrità) e un po’ per noia. Molti dei rimasti, compresi i miei amici spagnoli, mi riferiranno di come le CocoRosie siano state le protagoniste di uno dei migliori concerti del festival. Ma il fuggi fuggi generale, ovviamente, ricorda ancora una volta che il mondo è bello perché è vario.
Io preferisco andare ad assaggiare le baroccherie pop degli Here We Go Magic, che presentano dal vivo la loro ultima fatica, Pigeons. Le idee alla base delle canzoni sono flebili flebili, ma gli arrangiamenti sono tutti gustosi e di ottima fattura.
I Wilco si ritrovano una platea enorme, fatta da curiosi, fans e da gente già appostatasi per i Pixies, che saliranno sullo stesso palco più tardi. La band – nata dalle ceneri degli Uncle Tupelo – suona alla grande, batterista su tutti, ma il suo country-alt-rock è lontano mille miglia dal mood della serata (almeno il mio) e mi sposto per i Japandroids.
Le sorprese sono il sale dei festival
Ecco, sono episodi come questo (e come quello che mi capiterà più tardi) che fanno benedire l’idea di essere venuti a un festival. La Santa Curiosità e il Sacrosanto Diritto di andare a scoprire band di cui si è solo sentito dire e/o di lasciarsi affidare al caso.
Animato dal sacro fuoco della Curiosità, quindi, mi spingo al Pitchfork per ascoltare i Japandroids, che sono in due ma suonano per dieci. Vengono dal Canada e dal 2006 a oggi hanno fatto cinque Ep (riuniti nell’album No Singles, di pochi mesi fa) e nel 2009 l’album Post-Nothing. Fino al 2009 erano pressoché sconosciuti, ma per fortuna è stato posto rimedio all’errore. Brian King, chitarra, tastiere e voce, pare tarantolato. Ha una pedaliera mostruosa e la sua chitarra riempie il suono come poche volte c’è capitato di ascoltare. David Prowse, batteria e voce, macina ritmi su ritmi senza perdere un colpo, pesta come un dannato e fa molto di più che non semplicemente la ritmica. Insieme i Japandroids fanno un garage-rock che arriva dritto in faccia come un pugno, fantasioso, potentissimo. Da non perdere.
L’altra sorpresa si chiama Bloody Beetroots e in questa nuova incarnazione live aggiunge alla ragione sociale Death Crew 77. Si tratta della sigla italiana più famosa all’estero, insieme ai Crookers. Mentre noi italiani dormiamo in piedi, il mondo balla e salta sulle bordate di Bob Rifo, titolare del progetto (chitarrra, voce, pianoforte, campionatori, synth), che dal vivo si fa accompagnare da Tommy Tea (synth, campionatori) e da Edward Grinch (batteria), tutti vestiti come Venom, il cattivo di Spiderman. Qui da noi non se n’è accorto nessuno, ma in Australia vendono più degli Arctic Monkeys e i biglietti per i loro spettacoli si trovano su Ebay a 300 dollari. Guadagnatisi la fiducia di Steve Aoki, il passaparola su di loro parte dall’inserimento di alcuni loro brani nelle colonne sonore di videogames di successo, ma anche e soprattutto per merito di live set esplosivi. Sono punk, sono hardcore-techno, sono dance. Uniscono zanzare e beats alla Soulwax/2manydjs con tastiere epico-oniriche alla Faithless, il tutto condito con sfuriate violentissime alla Atari Teenage Riots. Detta così sembra un minestrone, un Frankstein musicale, invece il risultato è esaltante. Pubblico impazzito, Rifo che si arrampica sulle impalcature, un batterista implacabile, ogni suono al posto giusto: si è solo indecisi se ballare o pogare. Il live set più incendiario del Primavera Sound!
Ordinaria amministrazione
I Yeasayer catturano l’attenzione di non tantissima gente e il loro spettacolo è sempre in bilico tra indie rock e tentazioni danzerecce. Mi spiace abbandonare il loro set per andare dai Bloody Beetroots, ma la scelta s’è dimostrata vincente (vedi sopra).
Sono le 4.30, le gambe come due tronchi di legno e le membra praticamente tutte disarticolate. Ma la curiosità per Diplo è forte. Riesce a smorzare ogni entusiasmo di chi non sia in preda a delirio chimico (come me) con una banale miscela di tribal techno. Una ventina di minuti del genere sono davvero troppi anche per un curioso cronico come me. Sono le cinque meno dieci, fra poco riapre la metro e il letto chiama sempre più forte.
Leggi la prima parte dell’articolo (Pavement, The Fall, The XX, Moderat, Bis, Ui, Tortoise, The Big Pink, Chrome Hoof, Monotonix)
Leggi la terza parte dell’articolo (Pet Shop Boys, Gary Numan, Charlatans, Florence and the Machine, Orbital, Antlers)
Gli ultimi articoli di Massimo Garofalo
- Platonick Dive: recensione di Take A Deep Breath - October 23rd, 2024
- Francesca Bono: recensione di Crumpled Canva - October 17th, 2024
- Permafrost: recensione di The Light Coming Through - October 15th, 2024
- Visor Fest 2024 (dEUS, The Charlatans, The Mission, Kula Shaker...): ecco com'è andata - September 30th, 2024
- Monolake: recensione di Studio - September 27th, 2024