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Prehistoric Pigs: recensione di The Fourth Moon

I Prehistoric Pigs da un punto di vista strumentale ci sanno fare in modo chiaro e netto, muovendosi tra le pieghe dello stoner rock dei "classici" che abbiamo amato.

Prehistoric Pigs

The Fourth Moon

(Go Down)

stoner

 

______________

TheFourthMoon-recensioneÈ molto difficile approcciarsi dinnanzi ad un disco come quello dei nostrani Prehistoric Pigs. Lo ascolti e lo riascolti e sinceramente non sai da quale parte stare.

Possiamo dire che è la classica situazione in cui sei completamente diviso a metà. Cerchiamo, allora, di essere franchi come è giusto che sia.

La band italiana, da un punto di vista strumentale (si tratta di un trio che non prevede il cantato e questo alla lunga, a nostro avviso, può essere un elemento penalizzante) ci sa fare in modo chiaro e netto.

Nel loro modo di suonare si trova energia, maestria e tante lezioni imparate a memoria, ascoltando stoner di qualità, a partire dai seminali Kyuss. Ed ecco qui che arriviamo al punto dolente, rappresentato proprio da quella che fu un tempo la micidiale creatura messa su da John Garcia, Josh Homme, Nick Olivieri e Brant Bjork.

In The Fourth Moon sembra che siano contenuti provini o scheletri di canzoni presi in prestito proprio dalla formazione a stelle e strisce. Le sonorità, la produzione, il modo di suonare la chitarra con quel sound compresso tipico di Homme, si ritrovano tutti insieme in questo album, in cui ci si aspetta di trovare da un momento all’altro anche la voce di un John Garcia qualsiasi che, però, sfortunatamente non arriverà mai.

 

Sostanzialmente nei sei brani che si ascoltano, comunque, con piacere, si va indietro nel tempo con la mente e si pensa a quanto potesse essere florida ed accattivante la scena alternative americana che proponeva ogni santo e benedetto giorno qualcosa che sarebbe poi passata alla storia.

Qui dentro non vi è una singola nota che non sia un omaggio ai Kyuss di Gardenia o di Blues For The Red Sun. È tutto molto bello come avrebbe detto in telecronaca Bruno Pizzul, decisamente nostalgico ed intrigante, ma alla fine la domanda che ci si pone è la seguente: cosa resta dopo un ascolto del genere? Ai posteri l’ardua sentenza.

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Francesco Brunale
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