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Post Nebbia: recensione di Entropia Padrepio

Con Entropia Padrepio, i Post Nebbia trasmettono una ventata di freschezza nel panorama underground della discografia tricolore, un vero e proprio miracolo italiano, se teniamo conto dell'omologazione mainstream dei nostri tempi.

Post Nebbia

Entropia Padrepio

(Dischi Sotterranei, La Tempesta Dischi)

psych rock, library, laid-back music, elettronica, soul funk, art rock

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A distanza di quattro anni dall’esordio discografico con Prima Stagione e dopo le esplorazioni sonore del secondo capitolo Canale Paesaggi, la band padovana Post Nebbia – capitanata dall’estro creativo del suo deus ex machina Carlo Corbellini – manda alle stampe il suo terzo lavoro in studio intitolato Entropia Padrepio, edito per Dischi Sotterranei e La Tempesta Dischi e anticipato dall’uscita del singolo Cuore Semplice.

Le dieci tracce di Entropia Padrepio – album interamente scritto e arrangiato in piena pandemia dal giovane cantante e musicista veneto Carlo Corbellini, affiancato in fase di produzione da Fight Pausa – ruotano intorno all’urgenza espressiva di intraprendere un percorso di analisi introspettiva (una specie di colonscopia spirituale), con rinnovata consapevolezza e maturità scritturale, focalizzando l’attenzione tematica sul ruolo della religione e della Chiesa nella contemporaneità, insieme all’eterno confronto-conflitto dell’essere umano con se stesso e con il concetto astratto di fede.

Nonostante la sua dichiarata visione agnostica della vita, Carlo Corbellini – pur senza rinunciare a una quota di ironia dissacrante ed esaltando volontariamente un’ambiguità metaforica nei contenuti – affronta questo nuovo step autorale con l’intento di spingersi oltre la soglia del razionale, di aprirsi un varco all’interno di ciò che non è spiegabile soltanto con le formule messe a disposizione dalla scienza.

Già negli anni 90, la società aveva cominciato ad allentare il suo legame con la terra promessa della cultura clericale e ad abbracciare derive agnostiche, rievocando la visione Marxista secondo cui la religione viene vista come l’oppio dei popoli, rimettendo così in discussione l’egemonia delle strategie di marketing della Chiesa, del suo potere persuasivo sulle menti meno stabili e di tutta la sua obsoleta propaganda psicologica, autoreferenziale, conservatrice e patriarcale.

Eppure, da sempre, le persone hanno manifestato il bisogno interiore di credere in qualcosa che andasse oltre la scienza, al di là del cosiddetto pensiero unico, tant’è che non è un caso se la religione, in ogni sua forma e latitudine, è l’unico impero a non essere mai crollato. È riuscita a creare intorno all’uomo un mondo immaginario parallelo – segregato all’interno di sacre scritture e luoghi di preghiera in cui poter trovare una chiave di lettura alternativa alle vicissitudini umane – millantando poteri taumaturgici e l’illusione di condizioni migliori. Un macro-universo dove l’esistenza, anche se disumana, assume, paradossalmente, una percezione sopportabile e addirittura appagante, dove “per vivere basta una prospettiva”, qualunque essa sia.

Un modus operandi che secondo i Post Nebbia possiamo osservare in quei contesti culturalmente arretrati di provincia, dove tra gli individui dal Cuore Semplice è ancora vivo quell’ingenuo retaggio legato a forme anacronistiche di fede cattolica, a quel peso morale del dover appartenere ai valori di una comunità (Viale Santissima Trinità), alla possibilità di trovare “qualcuno che ci porti per mano nel mondo”, facendo leva sulla forza sedante dei Freni Inibitori, sul senso di protezione che può infondere un oggetto simbolico come la croce e su tutta quella narrativa fantasy incentrata sulla salvezza dell’anima post mortem.

I Post Nebbia, mostrando un linguaggio ambizioso e ricercato sotto l’aspetto delle liriche (di pregevole fattura la poetica di Carlo Corbellini, se consideriamo lo standard dei testi delle canzoni di oggi e quanto sia difficile sincronizzare la lingua italiana alle metriche di un genere di musica alternative rock), sono riusciti a sviluppare un pellegrinaggio compositivo orchestrale e ricco di groove, dall’impronta morbida, melodica, decadente, liturgica, sacrale e più dinamica rispetto alle loro precedenti pubblicazioni.

Si parte da quel suono di campane a morto di Intro, a metà tra Black Sabbath e For Whom The Bell Tolls, per poi espandersi su giostre emozionali e superfici strumentali dai confini multiformi: si va dalle evasioni esotiche della disco funk all’effetto nostalgico, retrofuturista e laid-back di basi e atmosfere cinematiche della library music di fine anni ’60 e primi anni ’70, con la complicità di stravaganti e dissonanti distorsioni e diavolerie della psichedelia elettronica, quando con iperboli acide e sinistre, quando con linee balsamiche e rassicuranti.

 

Elementi eterogenei che si fondono e amalgamano – “come oro col fuoco” – a una pasta timbrica suadente, sorniona e filtrata attraverso quella caratteristica indolenza dell’it-pop, raccogliendo sia le mosse robotiche di certa synth-wave dal tocco francese, sia le influenze stilistiche che riconducono al brit pop dei Blur, ai Bluvertigo di Metallo Non Metallo e al Morgan di Canzoni dell’Appartamento.

Il nucleo concettuale di Entropia Padrepio si riassume nella ricerca della completezza attraverso il sacrificio della propria identità, di quel mondo materiale a cui si appartiene; una stanchezza psicofisica che in Cristallo Metallo sembra votarsi a un qualcosa di celestiale, di esoterico, con lo scopo di buttarsi alle spalle le zavorre del corpo e della vanità, abbandonando i recinti sicuri della cautela e preparandosi, pertanto, ad accogliere il Pensiero Magico, a farsi contagiare da un nuovo ed omeopatico sentimento rituale, dalla totalità universale.

Alla fine, ogni nostra azione risponde allo stesso schema mentale, alla rigidità di un determinato circuito di regole, che siano scritte o tramandate oralmente, che si tratti di gabbie individuali o collettive, di materia o spirito, di fisica o dogmi ecclesiastici. La musica (così come l’arte in generale) e la religione, tutto sommato, non sono aspetti popolari così tanto distanti, soprattutto se pensiamo alle dinamiche interattive della contemporaneità.

Con Entropia Padrepio – giocando un po’ con l’assonanza tra queste due parole – i Post Nebbia trasmettono una ventata di freschezza nel panorama underground della discografia tricolore, simulando una Voce Fuori Campo che parla a quei fedeli che cercano ancora un segnale di conforto nella santità dell’arte: un vero e proprio “miracolo italiano”, è il caso di dire, soprattutto se teniamo conto delle stigmate dell’omologazione mainstream dei nostri tempi.

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