Phil Collins
Going Back
(Cd, Atlantic)
pop, soul, r&b
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L’attesa è giunta al termine per gli appassionati del grande musicista Phil Collins, quello che si può considerare il membro più fortunato dei Genesis dal punto di vista della fama ottenuta nella carriera solista. Dopo aver, infatti, “minacciato” il ritiro dalle scene, il maturo (ormai quasi sessantenne) cantante torna con un prodotto che potrebbe essere tranquillamente preso per un classico dei gloriosi anni ’60.
Il “nuovo” Going Back, difatti, è null’altro se non una compilation di cover che il signor Collins ha voluto tributare alla musica della propria adolescenza, priva di ritocchi o abbellimenti atti a facilitare l’accettazione di tali, datati, brani alle giovani ed estremamente poco raffinate orecchie delle generazioni di “teen-agers” odierne. Non è, dunque, immaginabile che il target cui il musicista indirizza questa ennesima fatica sia un altro se non quello di coloro che, evidentemente alla sua stregua, hanno amato e ballato questi “pezzi di storia” dell’epoca.
Tra i grandi artisti coverizzati in questa raccolta fanno la loro presenza, tra gli altri, Stevie Wonder, Doobie Brothers, Four Tops, Temptations ed anche le Supremes. Eppure, nonostante l’importanza dei nomi citati, e la qualità assolutamente non bassa delle canzoni scelte, devo ammettere di essere rimasto alquanto deluso, nel complesso, dal prodotto offertoci.
Diciotto tracce veloci, senza pause o interruzioni noiose, ma con un sound che si differenzia di molto poco tra un brano e l’altro, e, seppure manchino rifacimenti completamente privi di orecchiabilità o di un minimo di coinvolgimento emotivo da parte dell’autore, e, di consguenza, dell’ascoltatore, si nota l’assenza di cover che facciano gridare al capolavoro, senza nulla togliere a brani di non trascurabile bellezza quali Blame It on the Sun (Wonder), Papa Was a Rolling Stone (Temptations) e Never Dreamed You’d Leave Me in Summer (Wonder), che, seguendosi l’uno dopo l’altro, fanno di questa parte centrale la migliore dell’intero album, insieme al finale affidato alla morbidissima e rilassante title-track Going Back (Dusty Springfield) , in cui l’interpretazione vocale del nostro Phil raggiunge o sfiora l’impeccabilità.
In sintesi l’album non risulta sgradevole all’ascolto, né prodotto nel modo sbagliato. Semplicemente, però, l’idea pecca di mancanza di originalità. Insomma, per dirla esplicitamente, da un artista del calibro dell’ex Genesis ci si aspettava, all’interno di un lavoro composto interamente da cover, di trovare delle innovazioni ai brani originali, dei pezzi contaminati, delle sperimentazioni atte a dare qualcosa di più al panorama musicale odierno. Invece il frutto di questo nuova fatica discografica un tributo, senza nulla di proprio, come un album registrato da una qualsiasi cover band. Tutto sommato se questo disco servirà a rilanciare generi al giorno d’oggi dimenticati come il soul ed il vecchio r&b, ed a dare una lezione al pop delle nuove generazioni, allora anche il signor Collins potrà vantarsi di aver dato il suo contributo.
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