Pharm
s/t
(Cd, Face Like A Frog)
experimental rock
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Partiamo subito da una considerazione: la musica suonata (e creata) dai Pharm ha poco a che spartire con il circuito musicale commerciale. Il disco è interamente strumentale, ed il formato canzone è inevitabilmente disintegrato in favore di suoni che faranno storcere il naso ai più: si tratta di musica assolutamente inadatta al formato delle radio e delle tv.
Il sestetto romano è un collettivo audio-video formato da Fabio ‘Reeks’ Recchia (percussioni, live electronics e programmazione video), Cristiano ‘Defa’ De Fabritiis (batteria e live electronics), Claudio Mosconi (basso), Matteo d’Incà (chitarra) e Alessandro ‘Byruzz’ Rebecchi (videomanipolazioni). La sperimentazione e l’improvvisazione sono il loro forte, tanto è vero che l’album Pharm (registrato tra il 2009 e il 2012) raccoglie materiale improvvisato in studio e frammenti di alcune session di prova, il tutto re-editato da Fabio Recchia.
Sulla copertina del disco in primo piano campeggia uno scoiattolo dallo sguardo maligno, e sullo sfondo una casa tetra. Le sfumature nere e marroni creano un gioco dai riflessi cupi, macabri, sinistri. E’ fondamentale soffermarsi proprio sull’immagine della cover prima di ascoltare il disco; è necessario per poter apprezzare le 7 tracce incise dal gruppo sul loro album omonimo.
Pharm è un disco sperimentale, che fatica ad essere catalogato in un genere preciso. I riferimenti sono molteplici, quasi infiniti. Di certo c’è la qualità di questi riferimenti, tutti giganti della musica: Faust, The Residents, Can e Tortoise, sono solo alcuni nomi, per non parlare della musica concreta, protagonista assoluta dei loro collage elettronici.
L’inizio di Mrs Runciter è una nebbia di mistero a tinte noir. Sullo sfondo rumori casuali, cacofonie varie, voci casuali, svariate percussioni: è un John Cage che incontra Badalamenti.
Con Sorbetto ci si avvicina (anche se molto lontano) ad una forma meno ostica: apre un basso cupo e robusto, seguito da dissonanze, synth che ricorda vagamente il Jean Michael Jarre di Oxygene, voci trovate. Il finale è puro rumorismo à la Red Crayola.
L’africano è un saggio di free jazz, che all’inizio mostra un basso ancora paranoico. Questo cede il passo ad un sax che prima alimenta il caos, poi riparte su ritmi più regolari, per poi esplodere in una moltitudine di dissonanze. I toni rimangono comunque tenebrosi e sintetici, con una batteria degna del grande Jaki Liebezeit, batterista dei Can.
Buone Cose A Lei entra in territorio Flaming Lips per ritmi e distorsioni. Subentrano poi feedback, cingolii, stridori, percussioni, battiti casuali rimembranti del proto-industrial dei Faust.
Western Machines è un’esibizione di diavolerie elettroniche, come se i Tortoise venissero catapultati nel Far West.
Joe Chip è un collage di rumori analogici e digitali, apprezzabile per l’uso del theremin, e che inizia con un tocco di world-music. Da una situazione relativamente tranquilla il brano evolve e produce un ritmo memore dei Vampire Rodents: ossessivo ma meno fragoroso.
L’album si conclude con la splendida Q, un pezzo di elettro ambient liquido, condita da qualche incursione glitch. Il brano, surreale e molto suggestivo, è l’immagine di una spiaggia immersa nello spazio, da dove si possono ancora udire scorci di quella musica ascoltata in precedenza, fatta di rumori e aggeggi elettronici. Spogliato dal caos che ricopre gli altri pezzi, Q si eleva in tutta la sua metafisicità, e paradossalmente si dimostra il più razionale della tracklist.
Di questi tempi, dove sono poche le band che sperimentano davvero, i Pharm sono una delle realtà underground più importanti del nostro paese. Una moltitudine di generi e sottogeneri vengono saggiamente incastrati: il collage sonoro che ne risulta è di forte impatto. In questo album sono riassunte alcune delle più grandi intuizioni della musica, dagli anni ’40 con la musica concreta di Pierre Schaeffer fino agli anni ’90 con il post rock dei Tortoise.
I Pharm se ne sono infischiati della commercialità e hanno prodotto un bel disco senza svendere la propria arte: una band coraggiosa e di talento come poche se ne vedono in Italia.
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