Pellegrino & Zodyaco
Koinè
(Early Sound Recording)
jazz, fusion, latino caraibica, folk partenopeo, folk andaluso, world music, sound mediterraneo, black music, dance, disco funk, synth-pop, tropicalismo
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“In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare”. (Henri Laborit)
A tre anni di distanza dalla pubblicazione dell’EP Quimere, il produttore, DJ e cantautore Pellegrino Snichelotto, tra i pionieri del sound cosiddetto Napoliterraneo insieme ai Nu Genea, continua ad alimentare il suo progetto musicale sotto il monicker Pellegrino & Zodyaco, mandando alle stampe il suo terzo lavoro intitolato Koinè, edito per l’etichetta Early Sound Recording (della quale è fondatore) e anticipato dall’uscita dei singoli Malìa, L’Aura e Saditè.
Capace di attingere dalla tradizione ed affrancarla da ogni schema moltiplicandone le possibilità espressive, Pellegrino e la sua band (sette elementi più la voce di Gabriella Di Capua) ci accompagnano in questo nuovo viaggio onirico, simbolico e personale tra suoni ed emozioni, tradizione e contemporaneità: un mix armonico, esotico e vitale che coinvolge tutti i sensi e ci proietta già nella stagione estiva dei tormentoni balneari. Il tutto attraverso il collante fondamentale del ritmo, con quell’impronta groove-disco che celebra la terra, il mare, le stelle, e impedisce di stare fermi e non ballare.
Come racconta lo stesso Pellegrino, ispirandosi al libro Elogio della Fuga di Henri Laborit: “Non c’è una meta definita, piuttosto la volontà di esplorare nuovi linguaggi sonori che mantengono salde le radici partenopee, pur aprendosi a un’estetica musicale globale e contemporanea”.
Koinè, parola greca che significa linguaggio comune, rappresenta un vero e proprio linguaggio senza confini che diventa unificante. Un’esperienza immersiva che parte dai vicoli dalla scena musicale partenopea degli anni ’70 e ’80 (la Naples-power dei vari Pino Daniele, Enzo Avitabile e James Senese) per abbracciare paesi lontani: dall’Africa maghrebina al Sud America, passando per l’ambiente clubbing di Berlino e le cuevas dei quartieri gitani di Granada, con epicentro viscerale le falde del Vesuvio.
Come un ponte evocativo e immaginario che unisce passato e presente, retromania e sperimentazione, appocundria e allegria, radici napoletane e culture di altre latitudini, Koinè si accende di sensazioni, contaminazioni, derivazioni e libertà sonora, godendo di tutta quella ricchezza eterogenea e mettendo in musica quella forza che serve a oltrepassare le barriere, oltre che a reagire di fronte a certe dinamiche sconfortanti dell’attualità.
Con l’idea di una Napoli internazionale, sospesa tra sogno e realtà, luci e ombre, aspettative e disillusione, nel mito della sirena Parthenope e nel miraggio di quel canto così intenso, seduttivo e sfuggente, atmosfere mediterranee e potenza comunicativa del dialetto napoletano si fondono a percussioni etniche e tribali, dando vita a un dancefloor globale nel quale confluiscono synth-pop e disco music, l’anima latina dei soleggiati ritmi caraibici e tropicali, l’incantesimo malinconico del folk andaluso, finendo per mescolarsi al pop-funk psichedelico di Alan Sorrenti e Level 42 e a levigate frenesie jazz-funk alla Herbie Hancock.
Un melting-pot sonico che si riflette anche nella condotta tematica degli otto brani della release: sotto l’aspetto testuale, Pellegrino & Zodyaco indugia sul concetto di fuga come atto liberatorio e rotta alternativa per evitare il conformismo dei nostri tempi.
Un fuggire che, però, non è assolutamente fine a se stesso, bensì un’evasione costruttiva che si manifesta come strumento di sopravvivenza a tutto ciò che non ci lascia esprimere liberamente, sia nell’individuare l’essenza più intima delle cose sia nell’esigenza di riscoprire la bellezza di ciò che ci circonda (Pecché), cercando di ripartire da quello che siamo oggi, nonostante l’amaro dei ricordi, il tempo che passa e l’incertezza dei cambiamenti (Mario, Palepoli, Saditè).
D’altronde, il reale obiettivo del nostro viaggiare – inteso come percorso esistenziale – si dovrebbe focalizzare sul nutrimento continuo della nostra curiosità, per vedere quel che non si è visto e vedere di nuovo quel che si è già visto, e tracciarvi accanto altri cammini: dopotutto, come diceva José Saramago, la fine di un viaggio è soltanto l’inizio di un altro.
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