Paul Simon & Sting
On Stage Together Tour
Mediolanum Forum, Milano, 30 marzo 2015
live report
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Metà anni ’80. Tra i vinili di mio padre ce n’è uno che si intitola Venditti e Segreti. Lo metto su e Antonello urla polemicamente: “Rocky, Rambo e Sting, l’America li vuole così, angeli per le strade del mondo, sparando cazzate dal profondo”.
Inizio anni ’90. La mia prima volta a Central Park. Il mio compagno di viaggio si inginocchia improvvisamente e bacia la terra. Lo guardo più che stupito e lui mi fa: “Questo è il sacro suolo su cui hanno suonato Simon & Garfunkel”.
Da allora la mia conoscenza dell’English Man (che per colpa di quella canzone ho per anni creduto yankee) è rimasta sostanzialmente la stessa. Paul Simon invece è diventato uno dei miei eroi.
Stasera sono al Mediolanum Forum di Assago per vederlo e sentirlo di nuovo dal vivo a distanza di qualche anno. L’inglese e l’americano insieme, un’idea nata qualche tempo fa durante un evento di beneficienza e concretizzatasi in questo On Stage Together Tour.
Si parte in duetto: Brand New Day, la splendida Boy in The Bubble e ancora Fields of Gold e Mother & Child Reunion. Fa uno strano effetto sentire Jerry senza Tom, anche perché le armonie vocali dell’oleicoltore e viticoltore toscano sono molto diverse da quelle del lungo ricciolone. Ma è un passaggio obbligato, anzi ovvio. E’ la presentazione, la brochure di quello che ci aspetta, l’obolo dovuto al quale seguono due mini-set individuali.
Inizia Sting. Sul palco si alternano una quindicina di musicisti, tutti bravissimi. La tuba è certamente la protagonista di So Lonely mentre in Driven To Tears c’è uno splendido solo di violino che prelude alla radiofonica Walking On The Moon.
Ed ecco ritornare sul proscenio Paul Simon per un nuovo duetto che sembra quasi una sorta di carosello che intermezza l’esibizione. È Mrs. Robinson, e quale memoria migliore di Anne Bancroft e Joe Di Maggio per il passaggio di consegne?
Ora il palco è tutto suo e Paul attacca con 50 Ways To Leave Your Lover e, a seguire, Late In The Evening. La schitarrata di Me And Julio Down By The Schoolyard è inconfondibile: “The mama pajama rolled out of bed and she ran to the police station…”. E poi la bellissima Still Crazy After All These Years, il brano che contende a Born To Run di Springsteen l’assolo di sax più iconico della storia. Dazzing Blue è il pezzo di questa mini-scaletta che probabilmente nessuno tra il pubblico avrebbe inserito. Ma quando si ha a che fare con cavalli di razza è difficile, praticamente impossibile, chiedere troppe concessioni e hit più bramate come Loves Me Like a Rock, Feelin’ Groovy o April Come She Will.
E rieccoci al new brand: Fragile rincrocia le ugole dei due gentlemen e apre il sipario su una nuova esibizione del (ex) biondo.
Che, surprise surprise, si apre con un classico di Simon & Garfunkel, la inenarrabile America che si srotola come una Torah fatta di melodia e poesia. Giusto durante la recente leg australiana del tour Sting ha dichiarato che “le canzoni di Paul sono state la colonna sonora della mia vita”, e il doppio omaggio è di una umiltà da standing ovation. Il suo manifesto SOS (Message In A Bottle) scatena la meritata ovazione e, dopo un altro paio di pezzi, Roxanne e Desert Rose segnano il passo e il ritorno al politeismo.
The Boxer, il cui arpeggio di chitarra è probabilmente il più bello mai scritto su questa Terra, stasera ha il sapore di una carbonara consumata sul tavolino di un locale qualsiasi di Alexander Platz, ma mantiene inalterata la sua forza evocativa.
Ed è di nuovo Paul Simon time. La intima The Dangling Conversation è per i veri intenditori mentre The Obvious Child, chissà perché, ogni volta mi fa ritornare al 15 agosto 1991, sul Great Lawn, dove 100.000 spettatori entusiasti salutarono il ritorno del folletto educato sull’erba di fronte ai grattacieli. E poi è la volta di Hearts And Bones seguita da una cover di Little Junior intitolata Mistery Train e, a chiudere, da Diamonds On The Soles Of Her Shoes -sul cui intro gospel negli ultimi 22 anni ho stonato almeno un migliaio di volte più una- e dalla sempre divertente You Can Call Me Al.
Si torna a jammare, e stavolta sono fuochi d’artificio. Chi non capisce l’inglese segue l’andatura scanzonata di Cecilia senza neanche lontanamente immaginarla fedifraga e scivola con esultanza, “jubilation…”, nella sempreverde Every Breath You Take. Poi l’atmosfera si fa raccolta per Bridge Over Troubled Water che, anche senza la voce flautata e l’acuto finale di Artie, fa venire i brividi lungo tutta la spina dorsale.
Dopo 3 ore che ne valgono 3000 si chiude per sempre con When Will I Be Loved? degli Everly Brothers. E forse è la cosa più giusta. Le persone che defluiscono sono tutte sorridenti. Io, personalmente, mi porto via una certezza –la voglia di spolverare un paio di vinili dei Police– e un dubbio –sarà stata l’ultima volta che ho avuto la possibilità di ascoltare dal vivo uno dei miei guru musicali?
Nell’incertezza, mentre sono intrappolato nel parcheggio tra migliaia di macchine che non riescono ad uscire, mi sparo serafico The Sound Of Silence prima di tornare a casa.
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