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Parados: recensione disco omonimo

I milanesi Parados con l’omonimo lavoro danno spessore alle parole e ai concetti annessi, un disco che arriva per restare a lungo nell’immaginazione

Parados

s/t

(Costello’s Records)

canzone d’autore elettronica

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[youtube id=”cnDwy2_g1b8″ width=”620″ height=”360″]

PARADOSDi quanto sia “effervescente” la scena indipendente di casa nostra è dimostrazione questo disco omonimo dei Parados, quartetto meneghino raccomandato non male da un cantautorato personalissimo e a suo modo intrigatamente ermetico, una sfumatura distinta in otto tracce che tra elettronico rarefatto, captazioni di echi che ricordano un Battisti/Battiato alieni, cadenze di poetiche astratte e una bella dose di sperimentazione si fa apprezzare su lunga distanza.

Niente musica con l’argento vivo addosso, men che meno stroboscopismi modaioli, ma piuttosto uno “spirito naif” che si insinua nell’ascolto con la squisitezza di certe interferenze eclettiche, una summa melodica e armoniosa che esce dai classici canoni standard per installarsi tra le cose più sfiziose dell’underground last minute.

Disco di echi, stratificazioni vocali e una sofisticata  avvenenza come inclinazione di base, non c’è nulla  fuori posto in questa tracklist, una ricchezza “quasi contemplativa” fluida e con carichi d’anima notevoli che ha i suoi cardini massimi nella mediterraneità metafisica di Alieno verde, negli invidiabili macramè di corde che intrecciano A distanza e nella plasticità filiforme che si fa circolazione venosa in Venere, ma in totale è la forma espressiva che questi Parados tracciano nella immaginazione, un qualcosa che arriva per restare a lungo.

Piccolo ipnotismo imperdibile.

 

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Max Sannella
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