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Paolo Saporiti: recensione disco omonimo

Il primo album in italiano di Paolo Saporiti ci offre 12 brani di folkantautorato acustico imbrattato da sperimentazioni sonore intriganti con la collaborazione, ancora una volta di Xabier Iriondo

Paolo Saporiti

s/t

(Orange Home Records)

folk, canzone d’autore

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Paolo Saporiti CopertinaIl cantautore milanese Paolo Saporiti ha pubblicato in primavera il suo quinto album omonimo, sesto se contiamo il progetto Don Quibol con Christian Alati e Lucio Sagone. Nel 2006 avevo recensito su queste pagine The Restless Fall, il suo primo lavoro edito da CaneBagnato. Lo ricordo come un disco acustico con atmosfere tenui cantato in inglese in cui le cose migliori le avevo individuate in un pezzo noise che, secondo me, sarebbe stato senz’altro lo spunto migliore su cui lavorare. A leggere la recensione del collega Andrea Bettoncelli del precedente L’Ultimo Ricatto, la collaborazione con Xabier Iriondo confermerebbe i miei sospetti.

Quindi questo ennesimo disco raccolto, acustico e personale è da considerare una bocciatura? Mai detto. Partiamo dalla novità: questo è il primo album in cui Saporiti canta finalmente in italiano, prendendo atto di un’espressione linguistica nata per l’esigenza di raccontare una storia confidenziale. E personale è anche la copertina del disco, una foto vintage che ritrae nonno e bisnonno del cantautore, introducendo il disco attraverso l’opener Come Venire al Mondo, brano arpeggiato con leggerezza e che d’improvviso acquista velocità sporcandosi con gli arrangiamenti di Xabier, di nuovo prezioso collaboratore.

Fingerpicking in Io Non Ho Pietà che ha molto in comune con gli ultimi Afterhours. Cenere, In Un Mondo Migliore e Erica (brano nato a 18 anni con l’idea di presentarla ad un Sanremo) ci restituiscono il Paolo degli esordi. In Sangue subentrano influenze cinesi, si passa alla frivolezza schizofrenica di Come hitler (scritto apposta in minuscolo per indicare qualunque essere arrogante, presuntuoso e violento) urtata dalla batteria di Cristiano Calcagnile che giochicchia sulle strofe, poi il sax di Stefano Ferrian si fa strada a metà di L’Effetto Indesiderato e nel finale di Ho Bisogno di Te.

Il Vento dice Addio alla Luna si mescola con una ballata vintage. Nel finale di P.S. si percepisce il Mahai Metak, artigianale chitarra da tavolo a dieci corde progettata da Xabier. Il musicista, accompagnato anche da Luca D‘Alberto agli archi e Roberto Zanisi, altro sperimentatore polistrumentista, ci trascina in questo percorso di chiaroscuri musicali frutto di 25 anni di vigore artistico. La verve folkantautorale è predominante come sempre, artistica e personale, ci fa appropriare di un album ammaliante, spinoso, e che per fortuna non scade nel nostalgico folk rock.

Sito web: www.paolosaporiti.com

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Luca Paisiello
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