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Ozora: recensione di Litanie

Dal profondo del Canavese, gli Ozora danno alle stampe il loro terzo lavoro in studio, Litanie, otto nuove canzoni dove si fondono metal, prog, thrash, sempre tutto cantato in italiano.

Ozora

Litanie

(Rockshot Records)

progressive metal

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Il precedente album degli Ozora, Angelica, era uscito nel difficile periodo del Covid e promuoverlo non è stato semplice, non riuscendo a sfruttare spazi live adeguati dove presentare il secondo album. Ora con Litanie la band piemontese rilancia un percorso in evoluzione con otto nuove canzoni prog-metal dalla scrittura più articolata.

Sei mesi prima della pubblicazione di questo album la band aveva iniziato a rilasciare alcuni brani e Sensei, canzone impetuosa che apre il disco, è stato il primo singolo. Il pezzo ha un veloce incedere della sezione ritmica e il singer Davide  Conti canta di quella lotta interiore con la propria anima, descritta come un animale feroce da trattenere al guinzaglio quando viene inferta una ferita e si deve avere la forza di non lasciarsi dominare dalla rabbia.

Il secondo brano si fa largo con i fraseggi meticolosi di Paolo Mareddu alla chitarra, spiegando che  il rimanere Estraneo alla realtà che ci aliena è un modo per evitare del tutto la perdita di se stessi. Danilo Saccotelli, batterista e fondatore della band, ha rimesso in moto la macchina da guerra e con Davide, Paolo e Luca ci racconta del tempo che scorre sulla nostra esistenza, dove le aspettative deluse ci rendono persi e disconnessi, in crisi di identità, avvolgendoci in un bozzolo per autodifesa. Giudico questa traccia come la miglore per il lavoro fatto con le sei corde da Mareddu con i suoi riff e l’atmosfera che ha saputo offrire nella composizione.

Conti gioca con le parole Benzodiazepine e Diazepam sfoderando un interessante ritornello nella ritmica vigorosa di Quando Mangio da Solo a Volte Piango (Hangover), canzone breve e veloce sull’uso di sostanze ansiolitiche che portano alla frustrazione e alla vulnerabilità. La sua voce gigioneggia in Inedia tra le strofe sostenute da un fervente tappeto ritmico degli altri tre musicisti, constatando come le esperienze negative abbiano una maledetta persistenza, a dispetto di quelle positive che si dissolvono in fretta.

Il Gigante e la Formica, eseguita con pregevoli cambi di tempo e un cantato sorprendente, tocca il tema del pregiudizio e dei confronti impari, con un riferimento alle contestazioni di piazza dove “la verità è che c’è qualcosa di terribilmente marcio in questo Paese”. La poetica degli Ozora esplode poi con Litanie, brano lento e malinconico sull’incomunicabilità e sulle relazioni negative che emergono quando scompare l’autenticità delle persone.

Le melodie sono sempre belle cariche di distorsione, ma la voce di Conti gioca su ritornelli sempre ben orecchiabili che restano incisi. A questo giro la realizzazione dei brani non è avvenuta partendo dai riff di Mareddu, ma dalle linee di basso di Luca Imerito e dalle linee vocali di Davide, con una stesura dei brani che alla fine amalgama le diverse parti in un disco di non facile ascolto rispetto ad Angelica e ancora di più distante da Perpendicolari, il loro album di debutto.

Il disco si conclude con gli ultimi due pezzi, Torna Da Lei, un toccante brano sulla perdita e sul rimpianto, armato di un refrain emozionante, mentre Al di là (Inferno) è stato registrato durante le sessioni precedenti e trova collocazione alla fine del disco, aviluppandosi in cambi di tempo e di armonie che fanno ben capire come gli Ozora non si perdono negli schemi conformisti della canzone italiana, infilandoci una tromba nel finale. Un album audace nella composizione, con un cantato variegato e tematiche ricche di concetti che lasciano all’ascoltatore profonde riflessioni.

Social: ozorarock

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Luca Paisiello
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