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Orient Express: Illusion

Fra rock a tinte fosche e psichedelia seventies, scopriamo l'esordio dei pugliesi Orient Express.

Orient Express

Illusion

(Cd, My Kingdom Music, 2008)

rock, psichedelia

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orientexpressillusionGli Orient Express hanno un progetto ambizioso: riprendere le sonorità psichedeliche degli anni ’70 e convogliarle all’interno di una musicalità più attuale.

Così, sin dalle note iniziali di Eternal child, ci troviamo catapultati in un in un vortice liquido e sinuoso di chitarre acide e ritmiche ipnotiche, di liriche ombrose e quasi sussurrate.

Si attende il decollo da un momento all’altro, ci si aspettano sviluppi imprevedibili e crescendo visionari.
Ma i minuti passano e questo Illusion, anziché aprirsi, s’avvolge su sé stesso. Gioca a nascondersi all’ascoltatore, ripropone soluzioni sempre uguali e dinamiche altrettanto scontate.

Gli Orient Express dichiarano apertamente di ispirarsi ai God Machine, dai quali non hanno però ereditato l’epicità,
l’imprevedibilità e l’elettricità schizofrenica che rendeva unico il loro sound e trasformava i loro brani da oscuri bozzetti in schegge taglienti.

Un suono del genere, svuotato di queste caratteristiche, rimane appunto bozzettistico; e laddove ci si aspetterebbe pathos ci avvince invece la noia. Laddove ci si aspetterebbero gelide e spettrali melodie o improvvisi squarci di rumore rimangono invece delle canzoni scheletriche che rimestano fra il più scontato grunge e le più noiose masturbazioni strumentali. Laddove ci sarebbe da urlare senza troppa grazia rimane un cantato pulito e impostato che non giova affatto. Laddove sarebbe interessante giocare con le dissonanze si preferiscono armonizzazioni quasi telefonate.

Tutto da buttare, quindi? Non necessariamente. Gli Orient Express sono dei validi musicisti: impressiona favorevolmente il gusto chitarristico di Gg, sempre capace di costruire arpeggi onirici e soluzioni armoniche eleganti; piacciono gli interventi misurati e opportuni dei sintetizzatori di Blondy; stupisce l’uso di basi ritmiche quasi trip-hop in un brano come Prison head.

Affiancare al gruppo un produttore vero che sappia orientarli su scelte sonore e arrangiative, probabilmente, porterebbe agli Orient Express risultati ben più lusinghieri di questo album. Ma, ahime, siamo in Italia.

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