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Orange : Certosa

Debutto non facile per gli Orange che in una mezzoretta di dieci brani veloci dal sound underground grezzo chitarra-batteria fanno molto furore per nulla

Orange

Certosa

(Cd, Midfinger Records)

indie rock

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orange_certosaIl duo milanese chitarra-batteria mette in pista il primo disco in parte cantato in italiano, composto da dieci brani che tentano di scavare solchi di rock grezzo e sporco, influenzati da artisti come Strokes, Libertines, White Stripes, Dandy Warhols, Black Keys, giusto per citarne alcuni, risultando più che altro un esercizio di stile sanguigno.

Una chitarra distorta in maniera troppo grezza sguinzaglia pennate impastate trainate da una batteria rabbiosa, capace con giusta veemenza di provare a sorreggere un cantato troppo ovattato, messo in ombra dalla esagerata distorsione della seicorde. Un esempio è Milano non è New York che mescola stoner e punk rock: rifatta da una band adeguata capace di valorizzarla con arrangiamenti più efficaci potrebbe anche non essere da buttare.

Le situazioni di vita milanese descritte da Francesco (volto noto di MTV, uscito allo scoperto in tv come il “non giovane”) ed Enrico sono quelle dei festini dipinti in maniera ironica, dagli amici bizzarri come Giacomino, Richard, la Clarissa, ognuno con i suoi enormi problemi esistenziali di amori non corrisposti, ai paparini col macchinone e quelli che tentano di fare inutilmente gli splendidi.

Le rigidezze dell’assordanza precedente vengono messe da parte in CDE, sicuramente il pezzo migliore dell’album, e la sofferta title track Certosa si distacca dalle altre grazie al piano romantico e malinconico che accompagna un gorgheggio che pare registrato live from palestra.

La registrazione è così poco pulita che il protagonismo di chitarre e voce purtroppo non aiuta i brani a risultare efficaci e certi stacchi di chitarra non sono proprio così convincenti; tuttavia si avverte una certa passione nel tentativo di dare personalità alle dieci canzoni dell’album.

Il risultato complessivo non è limpido e si fa fatica a tendere l’orecchio per bene sulle liriche soffocate spesso dagli effetti tesi a nascondere limiti vocali non certo brillanti. Sarà per replicare lo stile underground, ma sottolinea nient’altro che i deficit musicali del disco, anche perché saper suonare bene in due raccogliendo ottimi risultati richiede uno smisurato talento.

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Luca Paisiello
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