Octavian Winters
The Line Or Curve
(Stratis Capta Records)
darkwave, post-punk, shoegaze
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Siderale come un inverno ammantato di neve, magmatico come un’estate rovente, brumoso come l’autunno, soave come margherite a primavera, tutto questo è The Line Or Curve, EP di debutto degli Octavian Winters appena uscito su etichetta Stratis Capta Records.
La band, composta dal chitarrista Stephan Salit (Thrill of The Pull), il batterista Randy Gzebb (Thrill of The Pull, Love Club,), il bassista Jay Denton e Ria (Amenti) Aursjoen (voce e tastiere) intreccia un sound etereo e viscerale dove si snodano un nugolo di storie ricordate e raccontate solo a metà nel suggestivo crepuscolo di ombre e stelle di una città deserta.
Vi ricordate il periodo della pandemia? Vi sono ancora chiari gli smarrimenti e le angosce di quel momento assurdo e straniante? È proprio nello spettrale isolamento di San Francisco, in quegli infiniti giorni senza capo né coda dove era impossibile perfino sognare che nasce The Line Or Curve, registrato da Mark Pistel (Meat Beat Manifesto, Consolidated) presso OW Studio e Room 5 Recording e prodotto dalla band insieme a William Faith (The Bellwether Syndicate, Faith and the Muse, Christian Death, The March Violets).
Gli Octavian Winters attingono a piene mani nella tradizione post-punk e darkwave tuffandosi allo stesso tempo in un groviglio di suoni eterei e rarefatti, la loro musica stratificata fa da contrappunto a groove taglienti, floride trame di synth e straordinarie melodie vocali in una perenne altalena armonica di voli pindarici e baratri imperscrutabili.
Il disco racconta di come sia possibile affrontare l’isolamento e più in generale le perdite, tocca i temi con cui il mondo intero ha dovuto fare i conti negli ultimi anni, parla dei sentimenti e delle ripercussioni che hanno lasciato un’impronta indelebile in ciascuno di noi e se la musica e le liriche sono estensione naturale delle emozioni e dei pensieri ancora vivi sotto la cenere, il titolo fa riferimento all’idea di simboli e sigilli come intricate raccolte di linee e curve.
“…la configurazione delle linee e delle curve è vitale; se un sigillo non è giusto risulta inutile e non ha alcun potere quindi devi scegliere se tracciare una linea o una curva”, afferma Ria Aursjoen “ma è anche una metafora della nostra visione del mondo, fa riferimento alle geometrie. In un sistema geometrico il percorso più breve è una linea ma in uno spazio curvo il più breve è una curva…in quale modo scegliamo di guardare il mondo?…La mia speranza è che arriveremo ad apprezzare le forme comuni espresse nelle nostre diverse geometrie, nelle nostre diverse visioni del mondo”.
“Nello specchio del ghiaccio, una curva e poi una linea, poi suona la campana di vetro” il succo del discorso è racchiuso in questa manciata di parole cantate in maniera sublime in Undertow, basso portante, ritmo serrato e potenza evocativa ai massimi livelli in marcata contrapposizione con la voce aulica ma incalzante, è la spinta della risacca che ti trascina verso il basso “vedi tutto, dimentica tutto, perdona tutto, adesso”.
Ma prima, la traccia d’apertura, morbida e avvolgente Ondine apre il disco come fosse un mantra di preparazione per le suggestioni a venire, le amabili linee vocali appoggiano su un tappeto sonoro estremamente onirico ed è difficile resistere alla tentazione di chiudere gli occhi e volare lontano dal qui ed ora.
Surreal prosegue sulla stessa falsa riga, accentuando, se possibile, le dilatazioni armoniche capaci di innamorare anche i meno avvezzi alla commozione, spezza il mood l’energica Velveteen che convince fino in fondo grazie ad un suono compatto e corposo mentre a chiudere il sipario pensa una ballad celestiale, Nebula.
Gli Octavian Winters regalano turbamenti atavici in costante bilico tra echi ancestrali e smodati stordimenti, The Line Or Curve è un mini disco stracolmo di messaggi, palesi e subliminali, che merita di essere ascoltato con tutti i sensi.
Octavian Winters – Velveteen: Guarda il videoclip
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