Nu-Shu
Dox
(Discographia Clandestina)
stoner rock
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Dopo quasi dieci anni di silenzio, si riaffacciano sulla scena i salentini Nu-Shu con un disco potente e prepotente che paga dazio in modo inequivocabile all’alternative degli ultimi venticinque anni, visto che lambisce i territori già percorsi in Italia da gente come i Verdena, gli Afterhours più sperimentali e i Bud Spencer Explosion e all’estero da tipi come i Queens Of The Stone Age, per fare un nome che metta d’accordo tutti.
Le dodici canzoni scritte dalla band leccese per questo Dox si rivelano un vero e proprio pugno allo stomaco, pregne come sono di chitarre in perenne fuzz e melodie che volutamente non vengono mai fuori.
Le sperimentazioni, di contro, fanno parte del pacchetto e tutto questo rende il loro sound di difficile fruizione.
Insomma, non c’è nulla di nuovo sotto il sole, ma è interessante percepire come la volontà di osare e di provare soluzioni per niente facili non metta paura a degli artisti che hanno, va detto, del talento assolutamente indiscutibile.
Basta dare un ascolto, anche a livello random, a canzoni strutturate in tal senso, come Glena, la rabbiosa Chemical Lover o la distensiva La Mia Vendetta per rendersi conto dell’ampio ventaglio di soluzioni sonore di cui è in possesso questo duo composto da Giuseppe Calabrese e Carmine Tundo che, per la cronaca, si serve semplicemente di un basso e di una batteria in purissimo stile Royal Blood.
Insomma, quello che stiamo vivendo è un momento storico in cui entità di questo tipo (cosa praticamente impossibile se solo si pensa agli anni Ottanta o Novanta) stanno trovando sempre più spazio all’interno del mercato discografico e tutto sommato è un bene, soprattutto se ci si para davanti una musica così interessante come quella fatta dai Nu-Shu, a cui pare chiaro non voler provare a toccare i cuori di una fetta di pubblico enorme, ma, di contro, rimanere nei contorni dorati dell’underground e della nicchia. Sono scelte rispettabili che non possono essere sindacate.
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