NOS Primavera Sound
Porto, Parco da Cidade
5 – 7 giugno 2014
live report
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Molti pregi e qualche difetto per la terza edizione della versione portoghese della manifestazione catalana d’eccellenza. S’è svolto dal 5 al giugno il NOS Primavera Sound 2014 – Porto, esattamente una settimana dopo l’edizione di Barcellona.
Passata ormai da parecchi mesi la delusione per un cast decisamente troppo ridotto rispetto alla versione di Barcellona, arriviamo a Porto con le migliori intenzioni, consci che al Parco da Cidade non avremo le dolorosissime e troppo frequenti sovrapposizioni del Parc del Forum, che il primo è un vero e proprio parco, immenso nel verde, e che qui – forse – respireremo il senso di entusiasmo e di scoperta che respiravamo a Barcellona e che lì invece è inevitabilmente andato perduto a vantaggio di un festival-mostruoso.
A parte il freddo che ci ha dato parecchio da penare, prima di parlarvi di musica vediamo in breve punti di forza e punti di debolezza di questo festival. Nonostante gli organizzatori si stiano sforzando di farlo assurgere a un prodotto indipendente rispetto a quello catalano, rimane comunque il suo “nipotino”, con tutto ciò che concerne in termini di aspettative, e il programma è stato quantitativamente impietoso, tagliando nomi “pesanti” rispetto a Barcellona. Troppo “pesanti”.
Il Parco da Cidade è una location fantastica, un parco molto bello, comodo per farci un festival e per sfruttare i suoi declivi collinari per farne delle platee rilassate. I prezzi di cibo e bevande al Primavera Sound Porto sono mooolto calmierati rispetto a Barcellona (per non parlare dei ladrocinii a cui siamo sottoposti in Italia). Gli impianti audio erano potenti e generosi, ma i tecnici si sono persi in più di qualche distrazione (vedi concerto degli Slint con microfono muto per i primi pezzi).
Vedere un baby-park all’interno del festival e – in generale – una cura del pubblico con tanti piccoli dettagli (venerdì pioveva? subito distribuiti migliaia e migliaia di impermeabili. Gratis!) ti fa sentire coccolato e fa indubbiamente piacere. Ma inspiegabilmente all’uscita per i taxi bisognava litigare e le indicazioni sui bus notturni avrebbero potuto essere più chiare. La mancanza più grave però è stata a livello di programmazione, che ha ammucchiato di tutto e di più nella giornata di mezzo, venerdì 6 giugno, lasciando un po’ allo sbaraglio le altre due giornate.
Ma veniamo alla musica.
Il 5 giugno apriamo letteralmente le danze con gli Spoon, autori di un piacevolissimo alt-pop debitore (guarda caso) di quei Pixies che faranno il record di presenze di pubblico al Primavera Sound Porto. I ragazzi inglesi in platea cantano a memoria le canzoni della band texana, a sua volta penalizzata da un banco mixer ancora non perfettamente calibrato.
Sky Ferreira è imbarazzante. Riprendendo la manfrina della settimana prima a Barcellona, comincia subito lamentandosi con i suoi tecnici, ma non ne ha molte ragioni: lei è stonatissima, falsamente timida e le sue canzoni sono tutte simili.
Caetano Veloso è un gigante. Completamente fuori contesto in una manifestazione del genere, ha però avuto il rispetto di tutti e in pochi attimi ha fatto della sterminata platea quello che ha voluto, facendola ballare con ritmi carioca, ipnotizzandola con la sua chitarra acustica o trasformandoci tutti in inguaribili romantici. Un artista che almeno una volta nella vita andava visto, apprezzato, applaudito.
Venerdì 6 giugno bisogna darsi da fare, organizzare bene gli spostamenti e sperare che vada tutto per il verso giusto. Così non è, dato che il placo ATP accumula subito ritardo e – complice un Tom Verlaine stonatissimo – ci fanno lasciare i Television alle prese con la pietra miliare Marquee Monn (del 1977!), che sarà riproposto per intero, a vantaggio delle Warpaint. Le ragazze di Los Angeles (che avevamo “scoperto” proprio al Primavera Sound di qualche anno fa) ne hanno fatta di strada e ora Emily gioca sapientemente col suo fascino, che riversa sul pubblico adorante. Per scelta, stasera hanno un sound pompatissimo di bassi e il loro dream-pop (che ripesca anche una cover di Ashes to Ashes di Bowie) risulta piacevolissimo.
Ma il confronto con quanto succederà da lì a poco è impietoso. Assenti da 19 anni dalle scene, sono in giro per un reunion-tour (seguito da un nuovo album?) gli Slowdive, una delle espressioni più alte del dream-pop britannico in salsa shoegaze. Il loro set è un tuffo al cuore, la loro musica senza tempo, il light show un esempio di eleganza ed essenziali suggestioni. Neil e Rachel sono invecchiati bene, il pubblico li saluta e cerca di dialogare con loro, che ringraziano con sorrisi sinceri. Probabilmente, anzi sicuramente, quello degli Slowdive è stato il concerto più bello del Primavera Sound 2014 di Porto.
Personalmente decido di snobbare i Pixies, visti e rivisti e ormai in via di ebollizione, a vantaggio dei Godspeed You! Black Emperor. I circa 3.000 assiepati sotto il loro palco verranno coinvolti in una vera e propria liturgia in cui il silenzio viene imposto da lunghissimi minuti di intro a base di ultra-bassi capaci di distorcere (rendendolo inutile) il chiacchiericcio della platea. Un concerto senza compromessi in cui il verbo del post-rock da camera si coniuga in strutture circolari amplificate da visual ipnotici e fortemente politici, a dimostrare ancora una volta come si possano comunicare contenuti anche con musica solo strumentale. Non ce n’è per nessuno, gli otto di Montreal sono dei giganti e il loro concerto (di 110 minuti!) è un’Esperienza (con la maiuscola).
Un rapido sguardo a Trentemoller, sul palco con una band allargata, sufficientemente fantasioso e abbastanza tamarro da far ballare tutti, e poi di corsa a prendere posto nelle prime file per i Mogwai. Gli scozzesi ridendo e scherzando stanno in giro da quasi venti anni, periodo in cui hanno cercato seppur parzialmente di rinnovare la loro miscela musicale (post-rock) caratterizzata dall’alternanza di piano e forte e che rischiava di avvitarsi su se stessa. E così negli ultimi anni voci, vocoder, violini ed elettronica sono via via usciti fuori a impreziosire il sound di quella che è una delle migliori live band in circolazione. Certo le “botte da orbi” dei loro distorsori sono ancora attese da tutti e quando attaccano Mogwai Fear Satan sappiamo cosa succederà. E infatti… l’impianto del palco NOS del Primavera Sound mostra i muscoli e al momento giusto fa venire giù l’intonaco dei palazzi distanti qualche chilometro (metaforicamente parlando, ovvio).
Seppure arrivati di buon ora, sabato 7 giugno abbiamo faticato a trovare qualcosa che attirasse la nostra attenzione prima delle 22,30. Lee Ranaldo and the Dust è piacevole ma il suo passato decisamente troppo ingombrante e malamente cancellato dal presente; la no-wave dei giapponesi Yamantaka / Sonic Titan (che ritroveremo al ritorno sul nostro stesso aereo) ci lascia indifferenti; Mas Ysa fa un’elettronica incolore e insapore; affatto divertente, John Grant non riesce a riscaldarci in una giornata decisamente fredda e men che meno ci riesce la reunion dei Neutral Milk Hotel.
Tutt’altra storia, invece, con i The National. Si prendono un’ora e mezza, invitano sul palco per un duetto St Vincent e sfoderano il loro indie-rock-sadcore ben suonato ed elegante poggiandolo su una serie di visual e immagini manipolate in diretta davvero suggestive. Peccato che Matt Berninger sia visibilmente ubriaco: canta sgraziato, cerca di spaccare più volte l’asta del microfono e alla fine non resiste e in pratica canta l’ultima parte del concerto letteralmente in mezzo al pubblico, scatenando il panico in platea e tra gli addetti alla security.
L’apoteosi della giornata e uno dei momenti più alti del festival arriva con la reunion (l’ennesima!) degli Slint. La band del Kentucky è in giro per promuovere il box set della ristampa di Spiderland (anno di grazia 1991). Domanda. Che rumore fa un’anima che si lacera? Risposta. Quello della musica degli Slint. Precursosi del post-rock, sul palco sono penalizzati da problemi al microfono e da qualche pausa un po’ troppo lunga fra un brano e l’atro, ma a parte ciò… il loro concerto è devastante. Dave Pajo resiste ma non troppo alla tentazione di suonare di spalle (dopo l’esperienza con gli Interpol dovrebbe essersi un po’ più sciolto), Brian McMahan urla con la rabbia della disperazione più profonda, gli altri non sbagliano una nota, trascinati da un batterista immenso (il post-rock non era un genere trascinato proprio dai batteristi?). Dave e Brian li ritrovo poche ore dopo (assonnati quanto me) al check in in aeroporto. Dopo i complimenti di rito li invito a venire a suonare a Roma. Brian mi risponde con una risata rumorosa e mi dice che il tour è terminato e chissà quando gli Slint torneranno a suonare insieme.
Quello che una volta si chiamava punk-funk, l’indie-dance-electro dei !!! già lo conosciamo, specie dal vivo è una miscela esplosiva di virtuosismo e divertimento, ma almeno due ore sul letto prima di ripartire che le meritiamo e per noi il Primavera Sound 2014 – Porto finisce qui.
Decisamente più comodo della versione di Barcellona, capace di attirare complessivamente 70.000 persone in tre giorni da 40 nazioni diverse (contro le 190.000 in quattro giorni della versione spagnola), Il Primavera Sound di Porto ha tutte le carte in regola per crescere ancora, per perfezionarsi e alzare l’asticella di un festival che già così ha davvero il suo perché.
Scaletta Caetano Veloso, Porto, 5 giugno 2014
A Bossa Nova é foda
Baby
Abraçaço
Parabéns
Homem
Triste Bahia
Estou triste
Odeio
Escapulário
Funk melódico
Alguém cantando
Quero ser justo
O Império da Lei
Reconvexo
Você Não Entende Nada
Encore:
Desde que o samba é samba
Nine Out of Ten
Tonada de luna llena
A luz de Tieta
Scaletta The National, Porto, 7 giugno 2014
Don’t Swallow the Cap
I Should Live in Salt
Mistaken for Strangers
Sorrow
(with St. Vincent)
Bloodbuzz Ohio
Sea of Love
Hard to Find
Afraid of Everyone
Conversation 16
Squalor Victoria
I Need My Girl
This Is the Last Time
Ada
Abel
Slow Show
England
Graceless
Fake Empire
Mr. November
Terrible Love
Vanderlyle Crybaby Geeks
Scaletta Godspeed You! Black Emperor, Porto, 6 giugno 2014
Hope Drone
Mladic
Gathering Storm
Moya
Behemoth
Scaletta Mogwai, Porto, 6 giugno 2014
White Noise (with Luke Sutherland)
I’m Jim Morrison, I’m Dead
Master Card
Rano Pano
How to Be a Werewolf
Deesh (with Luke Sutherland)
Remurdered (with Luke Sutherland)
Auto Rock (with Luke Sutherland)
Mexican Grand Prix (with Luke Sutherland)
Hunted by a Freak
Mogwai Fear Satan
Batcat
Scaletta Slowdive, Porto, 6 giugno 2014
Deep Blue Day (Brian Eno song)
Slowdive
Avalyn
Crazy for You
Catch the Breeze
Blue Skied an’ Clear
Machine Gun
Souvlaki Space Station
When the Sun Hits
Alison
Morningrise
She Calls
Golden Hair (Syd Barrett cover)
Scaletta Warpaint, Porto, 6 giugno 2014
Intro
Keep It Healthy
Bees
Undertow
Love Is to Die
Biggy
Disco//Very
No Way Out
Ashes To Ashes (David Bowie cover)
Elephants
Scaletta Sky Ferreira, Porto, 5 giugno 2014
24 Hours
Ain’t Your Right
Boys
Omanko
I Blame Myself
Lost In My Bedroom
Heavy Metal Heart
Love In Stereo
I Will
I Can’t Say No to Myself
Everything Is Embarrassing
You’re Not the One
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